Come denuncia anche il circolo Legambiente di Pulsano: “In questi anni, nonostante tante promesse, niente è stato concretamente fatto. Subito dopo l’incendio, c’è stato a Pulsano un Consiglio Comunale monotematico con la partecipazione di tanti rappresentanti istituzionali (nazionali, regionali, provinciali) che promisero di ricostruire ciò che era andato distrutto, cioè il bosco”. In pratica, la classica manifestazione di buoni propositi che contraddistingue i nostri politici, soprattutto quando si parla di tutela del nostro territorio e dell’ambiente circostante: in sostanza, il totale e più bieco disinteresse che ci ha lasciato indietro di decenni nel campo del turismo e della valorizzazione delle nostre risorse primarie.
“Dopo l’incendio, l’Ispettorato Ripartimentale delle Foreste di Taranto – ricorda ancora Legambiente – a causa delle condizioni di precaria stabilità idrogeologica dei terreni interessati all’incendio, ha prescritto alla proprietà Kira, con Determina Dir. 289/2002 la ricostruzione boschiva. La stessa società, pur presentando tale progetto del quale ottiene concessione, non ne ha mai effettuato l’attuazione (cioè la piantumazione). In seguito, il 3/12/2004, l’Ispettorato Ripartimentale delle Foreste di Taranto, a causa del carattere di necessità ed urgenza per la ricostituzione boschiva, ha invitato il Comune di Pulsano, la Provincia di Taranto, la Regione Puglia, la Procura della Repubblica di Taranto ad avviare le procedure di occupazione temporanea dei terreni al fine di ristabilire le condizioni idrogeologiche compromesse attraverso la ricostituzione del bosco bruciato; ogni anno il sindaco pro tempore di Pulsano, firma la stessa ordinanza con le prescrizioni per le aree boschive che obbligano i proprietari alla manutenzione e conservazione dei boschi e all’attuazione della prece”.
Motivazioni che hanno portato recentemente alla sentenza di condanna da parte della Corte di Appello di Potenza al proprietario dell’area incendiata di lido Silvana, Vincenzo Polini, amministratore della società “Il Barco” proprietaria dei terreni a monte del camping Lido Silvana e dell’area boschiva andata distrutta. Dunque, quello che è successo 11 anni fa, potrebbe nuovamente ripetersi. Intanto, lo scorso 19 aprile, presso il Tribunale di Taranto, si è svolta la prima asta del terreno per un prezzo base di € 3.944.200,00, con un rialzo minimo in caso di gara € 50.000,00. Tipo di vendita, “senza incanto”. Il giudice G.E. Dott. Martino Casavola, ha anche stabilito per il prossimo 25/10/2012 la vendita con incanto.
Questo per quanto riguarda le responsabilità politiche e quelle giudiziarie. Perché la realtà dei fatti, come spesso avviene in questo paese, è quasi sempre un’altra. Molto probabilmente infatti, non sapremo mai la “vera” verità su ciò che accadde quel giorno di 11 anni fa. 48 ettari in fumo, 13 mila alberi distrutti, danni per milioni di euro (4 miliardi di lire dell’epoca): è difficile credere alla versione “ufficiale” che parla di distrazione fatale, di erbacce accese e poco controllate, con il tutto che sfugge di mano per un improvviso e violentissimo vento di grecale. Immaginare che un incendio possa oltrepassare una strada (campo Nord e campo Sud sono divisi da una decina di metri di asfalto della litoranea) è un processo mentale alquanto fantasioso. Troppo anche il tempo che intercorse tra lo sviluppo dell’incendio e l’arrivo dei soccorsi. Prove, a tutt’oggi, non ne abbiamo e forse non ne avremo mai per sostenere tesi di un qualche disegno oscuro.
Ma i tanti testimoni di quel giorno, ufficiali e non, parlarono di piccoli incendi divampati improvvisamente a Campo Sud: ovvero esattamente dalla parte opposta da cui era invece partito l’incendio. Sospetto anche il suo percorso. Possibile che si è riusciti “miracolosamente” a salvare per intero il villaggio turistico di “Fata Morgana” (esattamente a metà strada tra il luogo in cui si generò l’incendio e Campo Nord e luogo in per la villeggiatura di gran parte dell’alta borghesia tarantina) e il relativo “lussuoso” stabilimento balneare? Ma siamo pur sempre nel campo dei semplici sospetti. I fatti, invece, dicono che durante questi undici lunghi anni, il tempo è lentamente passato e la natura, seppur faticosamente, ha ripreso il suo corso. E finalmente il verde è tornato a farsi strada su quello che per molti anni è rimasto un luogo deserto, una landa desolata.
Oggi non ci sono più i pini che fungevano da scudo. E’ rimasto solo quello strapiombo sul mare, con le sue immense pietre che fungono da barriera insuperabile per le onde del mare, sconfinato all’orizzonte. L’enorme distesa d’acqua dai colori che farebbero invidia anche ai Caraibi, è ancora lì, imperturbabile e sconfinato come sempre. Anche il campetto è ancora lì, o quantomeno lo è il suo scheletro. Gli uomini non ci sono più. I pini anche. Ma non per colpa loro. “La modernità ha fallito: bisogna costruire un nuovo umanesimo, altrimenti il pianeta non si salva” (Ulma, 14 marzo 1879 – Princeton, 18 aprile 1955).
Gianmario Leone (dal TarantoOggi del 25 giugno 2012)
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