Emissioni di gas serra nelle regioni: la Puglia supera i limiti imposti dall’UE

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TARANTO – Mentre al Relais Histò San Pietro si susseguono i convegni del Centro Studi Ilva, che è sulla buona strada per concorrere all’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli, e Confindustria Puglia chiede alla Regione Puglia di “consegnargli” il “bollino blu della burocrazia 0”, perché “chi programma investimenti ha bisogno di tempi certi e il legislatore, in questo caso la Regione Puglia, è chiamata ad assicurarli” (che tra le righe vuol dire zero cavilli burocratici e zero contrattempi dovuti a proteste dei cittadini o associazioni ambientaliste), le notizie che più interessano i cittadini e il territorio, vengono puntualmente “nascoste”.

Un’operazione chirurgica, che anche i nostri politici assecondano, favorendo il silenzio generale. Ad esempio, è di appena due giorni fa la pubblicazione di uno studio prodotto da EcoWay, primaria società di consulenza attiva nell’ambito del Carbon Trading e del Climate Change, basata sui risultati dell’indagine annuale che fotografa l’andamento delle emissioni di gas serra rispetto ai comparti produttivi (elaborazione dati EcoWay su fonte informazioni Carbon Market Data). Lo studio ha stabilito che gli impianti industriali collocati in Puglia abbiano prodotto una percentuale di gas serra maggiore rispetto a quella imposta dall’Unione Europea: nello specifico la soglia è stata superata del 14%.

La regione si dimostra in controtendenza anche rispetto ai risultati conseguiti a livello paese che vedono un -3% di emissioni. Per chi fosse un profano della materia, ricordiamo che i permessi di emissione di CO2 vengono distribuiti sul territorio nazionale in base alle presenza di attività produttive. Attualmente, i principali settori sottoposti alla normativa sono le attività energetiche, la raffinazione, i cementifici, la produzione di materiali ferrosi, produzione di vetro, industria della ceramica e produzione di carta. All’elenco sono state aggiunte, da quest’anno, anche le compagnie aeree.

In Puglia gli impianti sottoposti alla normativa sono 43: di questi ne risultano in disavanzo 17. Nel 2011, il totale di emissioni allocato alla Puglia è stato di quasi 35.000 migliaia di tonnellate e la soglia raggiunta è stata di circa 40.000 migliaia di tonnellate. Nel triennio dal 2008 al 2010 la regione ha conseguito risultati altalenanti. Se nel 2008 superava il limite del 21%, nel 2009 invece rimaneva al di sotto dello stesso del 10% per tornare ad oltrepassarlo di un +4% nel 2010. Gli stati membri dell’Unione Europea hanno stabilito, per le aziende dei settori maggiormente inquinanti, un tetto massimo di emissioni tollerate.

Se la quota prodotta è inferiore al livello previsto, l’azienda può vendere le proprie eccedenze sul mercato sotto forma di veri e propri titoli finanziari. Al contrario, se durante l’anno l’impresa ha prodotto più inquinamento, deve comprarli per ristabilire l’equilibrio. Le aziende che non rispettano i limiti previsti vengono multate: 100 euro per ogni tonnellata di CO2 non coperta. Con il 2012 si chiude la cosiddetta seconda fase dell’Emission Trading Scheme, a seguito dei primi 7 anni di attività del mercato delle emissioni inquinanti. Dal 2013 si apre la terza fase che prevede già alcune modifiche, tra cui l’introduzione del meccanismo di assegnazione ad asta per una percentuale dei certificati di emissione di ciascuna impresa.

Ora. Proprio qualche giorno prima, Greenpeace ha reso nota la classifica delle emissioni CO2 dei maggiori gruppi industriali del Paese per l’anno 2011. I risultato vedono, Enel ed in generale il settore energetico in vetta. Ma chi è l’altra grande big della classifica? Ma l’Ilva, ovviamente. Anche se tutto questo, quei simpaticoni del Centro Studi Ilva e di Confindustria fanno finta di non saperlo. Accusano i cittadini di essere affetti dalla sindrome NIMBY (che sta per “Not In My Back Yard”, traduzione letterale “Non nel mio cortile” con il quale si indica l’ atteggiamento di chi protesta contro opere di interesse pubblico che hanno, o si teme possano avere, effetti negativi sui territori in cui verranno costruite) e i politici che osano mettersi di traverso dalla sindrome NIMTO (acronimo che sta per “Not In My Term of Office”, traduzione letterale “Non durante il mio mandato elettorale).

Ciò detto, le tabelle qui mostrate, sono importanti anche per altri motivi. Accanto alle emissioni registrate, la scheda considera anche quali sono quelle “assegnate”. Enel sfora 4,6 milioni di tonnellate la sua quota, a fronte di una produzione totale di 36,8. La Taranto Energia (la ex Edison comprata dalla famiglia Riva per 165 milioni lo scorso ottobre) sfora di una quantità di CO2 estremamente vicina a quella dell’Enel, pur all’interno di una quota emissione generale neanche rapportabile: il che è gravissimo e dimostra quanto siano vetusti le centrali termoelettriche presenti in Ilva.

E’ inoltre interessante osservare il riferimento agli altri comparti: la raffinazione vede l’Eni perdere quanto guadagna a livello energetico, ma gli altri settori sembrano virtuosi, permettendo all’Italia una quantità generale di CO2 emessa inferiore, anche se di poco, alle quote assegnate. Persino l’Ilva, quantitativamente uno dei peggiori killer del clima nel Paese, viene “promossa” da questa classifica. Ecco perché, quando parliamo di inquinamento atmosferico, è altamente riduttivo guardare il tutto attraverso il binocolo di un solo inquinante (in questo caso alla sola produzione di CO2).

Perché così rischiamo seriamente di far passare in buona luce impianti che riversano veleni anche peggiori dell’anidride carbonica nella nostra aria (vedi la nostra cara Ilva). Detto questo, è altresì assolutamente giusto chiudere le centrali a carbone in Italia il prima possibile. Così come l’Unione Europea dovrebbe quanto meno rivedere la gestione delle quote di emissioni per impianto da parte dello Stato. Così come le penalità previste nei casi in cui un’azienda “sfori” le suddette quote, sin qui davvero troppo leggere.

Gianmario Leone (dal TarantoOggi del 22 giugno 2012)

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