Riguardo l’area di Mar Piccolo, rientrante nel Sito d’Interesse Nazionale di Taranto, assistiamo, sia a livello regionale che a livello meramente locale, sul piano politico, al tentativo di spostare su Roma la questione, attraverso richieste d’intervento economico al Governo centrale tese alla realizzazione, appunto, delle bonifiche, mentre reputo che il discorso dovrebbe in primis essere gestito localmente, in gran parte inchiodando alle proprie responsabilità gli inquinatori, che devono risarcire perché del resto “chi inquina paga”, soprattutto alla luce del fatto che grazie ai mirabili studi scientifici effettuati sino ad oggi, alle innumerevoli caratterizzazioni di luoghi, alla quantità ormai spropositata di documenti riguardanti il SIN di Taranto è possibile dire chi ha inquinato fino ad oggi.
Dall’altro lato c’è l’aspetto di natura meramente tecnologica delle bonifiche che vede in antagonismo ipotesi di risoluzione che vanno: dal sistema dei dragaggi, che potrebbero comportare anche un peggioramento di inquinamento in situ, fino alla metodologia del capping con isolamento dei siti contaminati dall’ambiente acquatico circostante, ma anche quest’ultimo non risolve il problema in toto e definitivamente perché può avere una valenza sulla porzione inquinata ma non sull’intera area del Mar Piccolo, infine c’è l’ipotesi di utilizzo di sostanze ed interventi chimici sulle aree inquinate, ma anche queste non vedo come possano essere fattibili visto che le sostanze inquinanti sono molteplici e sedimentate su vasta area.
In conclusione, si arriva a quanto riferisco da mesi, ormai anche anni, cioè che una bonifica effettiva data la vastità dell’area geografica, la tipologia della matrice inquinata, il sedimento, e soprattutto alla luce del fatto che le fonti sono sempre attive, non è possibile.
La soluzione che invece reputo sicuramente fattibile, rispetto alla mistificazione resa fino ad oggi dai più, per fini elettorali e propagandistici, è quella di cercare più rapidamente possibile di ridurre drasticamente l’inquinamento, e di progettare e realizzare nel più breve tempo possibile alternative economiche diverse rispetto all’industria inquinante; del resto che l’inquinamento persista e non sia ridotto, contrariamente a quanto millantato fino ad oggi dai principali suoi fautori, è dimostrato dai fatti e dai risultati sanitari anche dei mitili, non avremmo il persistere di una ordinanza di divieto di commercializzazione e movimentazione mitili, e 20.000 tonnellate di cozze di produzione nuova pronte per il macero.
Non credo che in tutto questo disastro un periodo di due, tre, anche quattro anni al massimo di messa in sicurezza dei luoghi, di chiusura delle fonti attive inquinanti, e realizzazione di alternative economiche lavorative, rispetto ai 50 anni ormai trascorsi di economia industriale, in cui non si è dato peso alla entità di inquinamento provocato al territorio, pernicioso per la salute dei tarantini, come per la loro stessa economia, possono essere così deleteri come tempo intercorrente dal vecchio ad un nuovo sistema economico.
Ormai sulla bilancia non pesa più solo l’ambiente inquinato, o la salute di una popolazione ma anche il fattore economico/lavorativo e zootecnia, mitilicoltura, turismo ed agroalimentare con relativi indotti sono anch’essi condannati al macero.
Dr. Patrizio Mazza, Consigliere regionale della Puglia
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