Alle tre aziende maggiori fu chiesto di presentare, entro metà maggio, una proposta per la riduzione delle emissioni in relazione al proprio carico: l’Eni è stata però l’unica a partecipare in maniera attiva, presentando una serie di proposte in merito, andando anche al di là delle prescrizioni previste all’interno dell’AIA. Così come è doveroso sottolineare che il Comune di Taranto ha messo sul tavolo diverse proposte per ridurre il PM10 prodotto dal traffico veicolare (meglio di niente é). La Cementir è stata definita “poco collaborativa”, mentre l’Ilva ha preferito non presentarsi all’ultimo appuntamento, non presentando alcuna proposta: avere stile, del resto, non è cosa da tutti.
Questo piano di risanamento si è reso “necessario” per l’ennesimo “allarme” scattato dopo che sia nel 2010 che nel 2011, è stato superato il tetto massimo di 1 nanogrammo per m/c (la legge prevede al massimo 35 sforamenti annuali, solo nel 2011 sono stati 40). Lo scorso 14 maggio, l’assessore regionale Nicastro dichiarò che il piano sarebbe stato pronto entro la fine del mese. Ieri ha invece dichiarato che “siamo in dirittura: nei prossimi 15 giorni i tecnici dovranno integrare il testo per la presentazione in Giunta per l’adozione. Un passaggio importante vista la serie di prescrizioni e di indicazioni che il piano contiene per il comparto industriale, per quello civile, per le componenti del traffico veicolare e di quello portuale. Tutti i settori saranno chiamati ad interventi e comportamenti finalizzati alla riduzione del particolato e del Bap in periodi brevi”. Ma a tutt’oggi, i dettagli di questo piano restano sconosciuti.
Così come i tempi di attuazione, che continuano a dilatarsi. Perché il problema del benzo(a)pirene pare essere diventato il vero cruccio della Regione e dell’assessorato alla Qualità dell’Ambiente. Del resto, una volta che ci si è auto convinti di aver sconfitto del tutto il problema diossina, il benzo(a)pirene e il PM10 sono assurti al ruolo di principali nemici invisibili delle nostre istituzioni. Che tentano invano da almeno due anni di “acciuffarli” per imporre loro una bella “riduzione”. Come non ricordare, ad esempio, la convenzione firmata dalla Regione Puglia con ARPA, Eni e Cementir il 10 settembre 2010 (anche allora l’Ilva si oppose, rifiutandosi di installare all’interno del siderurgico le centraline per la rilevazione delle emissioni), dopo l’approvazione della delibera di giunta con cui la Regione stanziò 318.000 euro e la legge regionale n. 3/2011, scritta dallo stesso Nicastro in collaborazione con i dirigenti del servizio ecologia e dell’ufficio inquinamento Antonello Antonicelli e Caterina Dibitonto, pensata proprio perché “nella città jonica le centraline dell’Arpa hanno da tempo evidenziato livelli non accettabili di benzo(a)pirene”.
Ma resta un mistero come Regione, ARPA, ASL/TA e Comune possano mitigare le emissioni di benzo(a)pirne e PM10, quando l’Ilva, ovvero l’azienda responsabile di immettere nell’aria la gran parte di tali inquinanti, resti fuori da tale piano. Ad esempio, per quanto concerne le emissioni di benzo(a)pirene, si ricorderà come la “Relazione Tecnica Preliminare Arpa Puglia” del 4 giugno 2010 definì l’Ilva responsabile del 99,74% degli Idrocarburi Policlici Aromatici (IPA, di cui il benzo(a)pirene è il più cancerogeno e nocivo per la popolazione) emessi nell’aria del rione Tamburi, di cui il 98,5% provenienti dalla cokeria.
Ma quando il Ministero dell’Ambiente con il decreto legislativo n.155 del 13 agosto del 2010 ti allunga la vita, spalmando il limite di tempo entro il quale rispettare la legge (1 nanogrammo per m/c) al 1 gennaio del 2013, altro che piano della Regione sul benzo(a)pirene. Per non parlare della riduzione del PM10, per cui l’Ilva ha già dichiarato di non voler andare al di là del barrieramento dei parchi minerali (principali indiziati per la produzione di PM10 e PM 2,5), pur sapendo che ciò non impedirà la diffusione nell’aria delle polveri più leggere (appunto PM10 e il PM2,5). Che poi nella relazione formulata dai tre periti epidemiologi nominati dalla Procura di Taranto nell’ambito dell’inchiesta per disastro ambientale in cui è imputata l’Ilva (Annibale Biggeri, Maria Triassi e Francesco Forastiere) sia scritto che “l’esposizione continuata agli inquinanti dell’atmosfera emessi dall’impianto siderurgico ha causato e causa nella popolazione fenomeni degenerativi di apparati diversi dell’organismo umano che si traducono in eventi di malattia e di morte” e che “nei 7 anni considerati (2004-2010) per Taranto si stimano 83 decessi attribuibili ai superamenti del limite Oms di 20 microgrammi al m/c per la concentrazione annuale media di Pm10.
Nei sette anni considerati per i quartieri Borgo e Tamburi si stimano 91 decessi attribuibili ai superamenti Oms di 20 microgrammi al m/c per la concentrazione annuale media di PM10. E ancora si stimano 193 ricoveri per malattie cardiache attribuibili ai superamenti del limite Oms di 20 microgrammi al m/c per la media annuale delle concentrazioni di Pm10 e 455 ricoveri per malattie respiratorie”, questo poco importa.
Si va avanti anche senza l’Ilva. Anche perché, come hanno sottolineato in coro al termine del tavolo di ieri Nicastro e il sindaco Stefàno, “auspichiamo una presa di coscienza collettiva ed una fattiva collaborazione di tutti nel percorrere la necessaria e non più procastinabile via del risanamento”. Perché “una volta per tutte vogliamo dare una risposta chiara e concreta al problema dell’inquinamento da Benzoapirene e PM10. Una svolta per la qualità della vita nella città di Taranto ed in particolare nel rione Tamburi con ricadute positive sulla salute dei cittadini”. Che volete farci, fanno tenerezza anche a noi. Sono così convinti e contenti che quasi quasi ci dispiace doverli contraddire ancora una volta e rovinare i loro piani di“risanamento dell’aria di Taranto”.
Gianmario Leone (dal TarantoOggi del 9 giugno 2012)
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