All’ordine del giorno del tavolo, ovviamente, i risultati delle analisi effettuate sui quattro campioni del I seno di Mar Piccolo prelevati dalla ASL tra il 21 e il 23 maggio, che hanno superato i limiti di legge (6,5 picogrammi al grammo) attestandosi su una media di 7,5, scrivendo di fatto la parola fine sulla possibilità di commercializzare la produzione 2012 degli allevamenti del I seno, che copre il 25% dell’intero comparto. I quattro campioni sono risultati tutti non conformi per quanto riguarda l’esito “diossine+PCB”, riportando i seguenti risultati: 7,6-6,8-7,8-7,7. Ma oltre a confermare l’ordinanza n.1989 dello scorso luglio emessa dal Servizio Veterinario della ASL TA, con la quale si ordinava il blocco del prelievo e della movimentazione di tutti i molluschi bivalvi vivi del I seno di Mar Piccolo, c’è la sensazione che una decisione forte andrà presa. Come, ad esempio, la probabile riconferma della “rimozione totale degli allevamenti del I seno al fine di consentire le attività di risanamento ambientale dell’area”. Segnale inequivocabile di come anche il tavolo tecnico regionale getti la spugna di fronte ad un problema che ha oramai assunto proporzioni gigantesche, che vanno al di là delle competenze degli enti che domani siederanno attorno al tavolo in Regione. Con la netta sensazione che il tutto dovrà passare quanto prima nella mani del Ministero dell’Ambiente a Roma (anche se forse sarebbe il caso di iniziare a puntare il dito verso quello alla Difesa).
Anche perché in molti hanno intuito per tempo di come il grande business del nuovo millennio possano essere proprio le bonifiche. Specialmente per un Sito di Interesse Nazionale come Taranto, che necessiterà della bonifica totale di migliaia di metri quadrati: basti pensare che soltanto per il Mar Piccolo si parla di una cifra intorno ai 100 milioni di euro. Ma questi sono e restano, almeno per ora, soltanto numeri vuoti. Perché c’è un’emergenza a cui in un modo o nell’altro bisogna trovare una soluzione. Perché anche lo spostamento degli allevamenti dal I seno nelle aree di Mar Grande (ipotesi totalmente osteggiata dai mitilicoltori), vieni oramai giudicata una soluzione “utopistica”. Certo, martedì è stata pubblicata la graduatoria delle 28 cooperative di nuova costituzione aventi diritto ad occupare i 369.000 metri quadrati (suddivisi in base a questa percentuale: 50% a chi è già in regola, a scalare, fino al 23% per le concessioni in fase di sanatoria) di fronte al lungomare, da parte del Servizio Demanio Marittimo del Comune di Taranto. Così come a breve l’azienda vincitrice del bando, inizierà la posa in opera delle boe di segnalazione delimitanti le aree del Mar Grande destinate ai nuovi temporanei insediamenti mitilicoli.
Ma non bisogna dimenticare che l’approdo degli allevamenti in Mar Grande necessita, inevitabilmente, della presenza dei famosi “corpi morti”, ovvero enormi basi di cemento armato del peso anche di 3,5 quintali, che dovranno sostenere i galleggianti e che dovranno essere trasportati dagli stessi mitilicoltori con delle grandi imbarcazioni. Tenendo sempre a mente che poi si dovrà attendere periodo di sperimentazione della durata di sei mesi, necessario per testare la zona e la reale possibilità di attecchimento del seme in Mar Grande: perché tutti oramai sanno che il mitile prodotto nel 1° seno del Mar Piccolo ha una sua specificità, che perderà una volta spostato nelle acque di Mar Grande. Il mare aperto, come da sempre dichiarato dai mitilicoltori e confermato anche dalla ASL, non è adatto a tale uso. O meglio, potrebbe anche esserlo, ma la qualità del prodotto ne risentirebbe e non poco: le condizioni delle acque di Mar Grande non sono tali per favorire il futuro della mitilicoltura tarantina.
Il mare aperto ha una qualità e una salinità completamente diversa rispetto a quella che si viene a creare in un “seno” come quello del Mar Piccolo (che ricordiamo possiede i famosi citri, sorgenti di acqua dolce che sboccano dalla crosta sottomarina), oltre ad avere un processo di riscaldamento delle acque molto diverso e decisamente più lento. Per non parlare del fatto che per lavorare nelle nuove aree, i mitilicoltori dovranno dotarsi di impianti molto costosi: ecco perché molti avrebbero preferito spostarsi nel 2° seno del Mar Piccolo, più salubre da inquinamento da Pcb, ma che potrebbe nasconde altri nemici (come ad esempio il mercurio). Insomma, siamo ancora in alto “mare”.
Gianmario Leone (dal TarantoOggi dell’8 giugno 2012)
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