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Mar Piccolo, adesso è proprio finita

TARANTO – Alla fine, il più nefasto dei presagi si è avverato. La contaminazione da PCB rilevata nelle analisi effettuate sui quattro campioni del I seno di Mar Piccolo prelevati dalla ASL tra il 21 e il 23 maggio, hanno superato i limiti di legge (6,5 picogrammi al grammo) attestandosi sulla drammatica media di 7,4. Una doccia fredda per quasi tutti. Sicuramente per i mitilicoltori, che hanno atteso il responso all’esterno dell’ospedale Testa, con la quasi certezza di poter finalmente tornare a vendere le cozze del Mar Piccolo, visti gli esiti delle analisi dei mesi scorsi (limiti mai superiori a 4,5). E in un responso positivo ci sperava eccome anche il Comune di Taranto, che ora si trova al centro di una situazione drammatica, che ha assunto i contorni di un’emergenza che oramai travalica i confini e le competenze degli enti locali. A testimonianza di ciò, la grande amarezza e lo sconforto espressi in serata dal colonnello Michele Matichecchia, comandante dei Vigili Urbani e dirigente comunale del settore Attività Produttive, che ha candidamente dichiarato come adesso nessuno sa precisamente quello che accadrà nel prossimo futuro.

Di certo c’è che il Comune da un lato proseguirà nel rilascio delle concessioni in Mar Piccolo (in un anno appena 15 quelle firmate), dall’altro continuerà, per quanto possibile, nell’iter di allestimento delle aree di Mar Grande, che dovrebbero ospitare gli impianti per la produzione del 2013. Dovrebbero, appunto. Perché tutto quello che è stato deciso sino ad oggi nei vari tavoli tecnici regionali, ultimo quello dello scorso 25 maggio, alla luce delle nuove analisi rischia di diventare pura carta straccia. Stesso destino quasi certamente avrà la produzione di quest’anno: la destinazione è la stessa del 50% del prodotto del 2011, ovvero il forno dell’inceneritore dell’AMIU.

Chi invece aveva da tempo intuito che il tutto avrebbe preso una piega nuovamente negativa, è il dr. Teodoro Ripa, responsabile del Servizio Veterinario della Asl, che ieri mattina è stato il primo a prendere visione dei risultati delle analisi proveniente dall’Istituto Zooprofilattico di Teramo. Il quale ha confermato che venerdì mattina tornerà a riunirsi il tavolo tecnico regionale istituito per la “valutazione e gestione del rischio per la presenza di PCB e Diossine negli allevamenti e negli alimenti nella provincia di Taranto”. Ma lo stesso Ripa ha ammesso come in realtà oramai la situazione vada gestita a livello nazionale, lasciando intendere come la competenza della gestione del problema dovrebbe immediatamente passare al Ministero dell’Ambiente. Perché quando il responsabile del Servizio Veterinario della Asl di Taranto ti dice che o si procede alla bonifica totale o altrimenti è meglio dichiarare la fine della mitilicoltura a Taranto, intuisci che si è arrivati al classico punto di non ritorno.

Anche perché a leggere i dati delle analisi del mese di maggio, ci si è accorti che la situazione da contaminazione da PCB è addirittura aumentata rispetto allo stesso periodo del 2011. Il che ha anche una spiegazione tecnico-scientifica: rispetto ai prelievi effettuati ad aprile, la temperatura del Mar Piccolo, in un solo mese si è alzata di 4-5°, arrivando a toccare i 19° attuali: temperatura che ha comportato il fatale aumento dell’inquinamento da PCB delle acque del I seno. E se dopo tutto questo, anche la ASL arriva ad ammettere che anche il trasferimento nelle aree di Mar Grande appare qualcosa di utopico, c’è ben poco su cui filosofare.

Del resto, sin dallo scorso anno la stessa azienda sanitaria locale aveva previsto che il tutto sarebbe dovuto avvenire “nelle more della necessaria classificazione”, che ricordiamo dovrebbe durare la bellezza di sei mesi, il tempo necessario per capire se Mar Grande è idoneo o meno ad ospitare gli allevamenti. E il mare aperto, come da sempre dichiarato dai mitilicoltori e confermato ieri dallo stesso Ripa, non è adatto a tale uso. O meglio, potrebbe anche esserlo, ma la qualità del prodotto ne risentirebbe e non poco: le condizioni delle acque di Mar Grande non sono tali per favorire il futuro della mitilicoltura tarantina. Il mare aperto ha una qualità e una salinità completamente diversa rispetto a quella che si viene a creare in un “seno” come quello del Mar Piccolo (che ricordiamo possiede i famosi citri, sorgenti di acqua dolce che sboccano dalla crosta sottomarina), oltre ad avere un processo di riscaldamento delle acque molto diverso e decisamente più lento.

Adesso, dunque, si è costretti a ripartire dal “via”, come in un gigantesco e drammatico gioco dell’oca. Dove le pedine, i mitilicoltori, sono le vittime di questo gioco al massacro che però ancora oggi nasconde abilmente chi manovra il tutto, le tante mani che lanciano i dadi a casaccio, incuranti di tutto il resto. Dunque, come accennato prima, siamo arrivati al classico punto di non ritorno. Perché da oggi, qualunque decisione verrà presa, potrebbe seriamente condizionare per sempre il futuro della mitilicoltura tarantina, oltre che cancellare la parte più importante della storia della nostra città. Bisogna decidere cosa fare. Ma soprattutto da che parte stare. Non c’è più tempo per tergiversare o sperare nel corso degli eventi o delle correnti marine. Perché se è vero che lo spostamento degli allevamenti in Mar Grande poteva e doveva essere fatto in tempi non sospetti (entro il mese di marzo, per alcuni entro l’ottobre del 2011), con le responsabilità che ricadono inevitabilmente su una classe politica incapace di prendere in mano la situazione, è altrettanto vero che il conto che oggi ci troviamo a dover pagare è figlio di un lontano passato.

Ed ha responsabilità precise. Dalle aree a terra gestite dalla Marina Militare (Arsenale), ai cantieri navali, dai sedimenti del Mar Piccolo in corrispondenza dell’arsenale militare, nell’area di caratterizzazione denominata “area 170 ha”, a quella più a Nord del I seno, a circa 200 mt ad ovest della penisola di Punta Penna, per proseguire con il fantasma dell’azienda ‘San Marco Metalmeccanica’ (sulla quale abbiamo già detto in passato ma su cui presto torneremo) individuata come possibile fonte primaria. Ma queste sono solo le responsabilità “pratiche”.

Quelle morali appartengono ad una classe politica che per decenni ha fatto finta di non vedere e non sentire, che ha usato finte promesse, inutili riunioni, fittizie tavole rotonde come specchietto per le allodole, facendo puntualmente naufragare quelle poche risorse e quelle poche idee messe sul piatto negli anni per affrontare in maniera serie a costruttiva il problema dell’inquinamento del Mar Piccolo. Appartengono ad una classe imprenditoriale ancora oggi a favore di nuovi impianti inquinanti, ovunque essi debbano sorgere non importa, perché ciò che conta, ancora oggi a distanza di oltre 200 anni dalla prima rivoluzione industriale, è solo e soltanto il profitto: che poi esso provenga da affari leciti o meno, che possa comportare la distruzione dell’ambiente, la fine di una storia secolare, che possa cancellare il destino di migliaia di persone, poco importa. Appartengono ad un sindacato ancora oggi scandalosamente assente da una questione che dovrebbe riguardarlo in prima persona: perché qui siamo in presenza di una cancellazione totale di quei diritti che loro dovrebbero difendere: la salute, il lavoro, la storia di un territorio.

Ma incredibili a dirsi, una minuscola tessera di plastica vale tutto questo e molto altro: se non la hai, sei fuori, il problema non esiste. Ed infine appartengono ad un’intera città ancora oggi troppo ferma, impaurita, vittima di se stessa, poco coraggiosa nell’affrontare a viso aperto i suoi nemici. Perché per troppi anni abbiamo confuso ruoli, diritti, doveri, etica, moralità, senso del pudore: tant’è che oggi possiamo dirci tutti responsabili e vittime allo stesso tempo. Una condizione paradossale, inaccettabile, ma drammaticamente vera. Appartengono ad una borghesia e ad un ceto medio che non ha mai amato questa città. Preferendo mandare via figli e nipoti piuttosto che combattere per essa. Dimostrazione di ciò sono gli ambientalisti locali, tristemente assenti dal più devastante e clamoroso caso di inquinamento cittadino. Preferiscono far finta di lottare contro le centinaia di camini al vento della grande industria, piuttosto che lottare al fianco di loro concittadini. Un atteggiamento che basta da solo per pesare tutta la loro consistenza morale. Oggi è un giorno storico per questa città. C’è una pagina bianca su cui decidere cosa scrivere. Pensiamoci bene prima di intingerlo con l’inchiostro della storia. Perché quello non si cancella. Resta per sempre. E dopo non si può più tornare indietro.

Gianmario Leone (dal TarantoOggi del 5 giugno 2o12)

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