Tra i mitilicoltori che attendevano i risultati davanti all’ospedale Testa la notizia è cominciata a circolare al di fuori dei canali ufficiali gettando tutti nello sgomento. Guidati da Egidio D’Ippolito si sono spostati sotto a Palazzo di Città dove hanno attesto per l’intera mattinata l’arrivo del sindaco. Sembrava imminente una conferenza stampa che non si è più tenuta, nonostante l’urgenza di fornire informazioni più dettagliati agli operatori ittici.
Tutto è rimandato alla riunione del Tavolo Tecnico Regionale convocato per venerdì prossimo, a Bari, a partire dalle ore 10. Intorno al tavolo si ritroveranno, tra gli altri, Regione, Comune, Asl, Cnr, Ministero dell’Ambiente e Istituto Zooprofilattico di Foggia. «Solo dopo questo vertice saremo nelle condizioni di emettere una nuova ordinanza», ha dichiarato Ripa, responsabile dei Servizi Sanitari della Asl. Tra gli operatori ittici, intanto, cresce la rabbia per i ritardi che si sono accumulati in questi mesi. «Il trasferimento in Mar Grande doveva avvenire molto prima, già dallo scorso novembre, così avremmo salvato almeno la produzione di quest’anno – si sono sfogati – ora chi pagherà per questi ritardi colossali?».
Ma non è questo l’unico nodo tornato a pettine. «E’ passato quasi anno dall’ordinanza che vietava la vendita e il prelievo dei molluschi nel primo seno, ma ancora non sappiamo nulla su chi ha messo in ginocchio la nostra categoria – ha dichiarato Luciano Carriero, presidente della cooperativa “Cielo Azzurro” – gli inquinatori ci stanno negando il presente e il futuro, ora basta: devono risarcirci fino all’ultimo centesimo e le istituzioni devono pretenderlo insieme a noi».
In tutti questi mesi non si è saputo nulla o quasi sulle indagini che avrebbero dovuto accertare le responsabilità della contaminazione da pcb. Nell’ottobre del 2011 il Servizio Ciclo dei Rifiuti e Bonifica della Regione Puglia aveva indicato come fonte primaria le aree gestite dalla Marina Militare (Arsenale), in cui la presenza di Pcb è stata accertata nei terreni e nella falda superficiale. La contaminazione, infatti, sarebbe stata veicolata dalla falda superficiale che ha come recapitco le sponde del Mar Piccolo a nord di via del Pizzone.
Come fonte secondaria, i tecnici della Regione avevano indicato i sedimenti del Mar Piccolo, dove esera state individuate due distinte zone interessate dalla presenza di Pcb: una in corrispondenza dell’Arsenale Militare, l’altra a nord del primo seno, a circa 200 metri ad ovest dall’Isola di Punta Penna. «In entrambi i casi – si leggeva nella relazione – la diffusione dell’inquinante avviene verosimilmente attraverso al ripetuta sospensione di sedimenti contaminanti presenti sul fondo».
Un alone di mistero continua ad avvolgere un’altra possibile fonte primaria, situata nell’area industriale, sulla strada Taranto-Statte, in un’area occupata dalla San Marco Metalmeccanica, dove sarebbe stata accertata la presenza di una cava colmata, nel periodo tra il 1972 e il 1995, da materiale contenente Pcb. Nella relazione si afferma che la diffusione della contaminazione verso il Mar Piccolo non è stata accertata, ma “l’ipotesi di un rischio non nullo appare verosimile in considerazione del fatto che il moto delle acque della falda carsica profonda avviene verso il Mar Piccolo”.
Chi ha utilizzato quella cava per scaricare materiale altamente inquinante? Cosa è stato fatto finora dagli enti preposti per identificare gli autori di un’azione così grave? Nei giorni scorsi, il dottor Nicola Cardellicchio, responsabile del Cnr locale, ha dichiarato che servono stanziamenti dalla Regione anche per finanziare queste attività di indagine. Eppure, questa dovrebbe essere considerata una priorità se si vuole bloccare la contaminazione del Mar Piccolo e consentire un effetivo ripristino ambientale.
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