Tanta positività da parte della principale testata economica nazionale, è da attribuire a diversi fattori. Primo tra tutti, l’esser riusciti ad arrivare ad un accordo con la Hutchison Whampoa, il gigante dei trasporti di Hong Kong, che alla fine di aprile, dopo una due giorni di trattative presso gli Uffici della Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento per lo Sviluppo Economico Territoriale a Roma, sottoscrisse l’Accordo Generale per lo sviluppo dei traffici containerizzati nel porto di Taranto e il superamento dello stato di emergenza socio economico ambientale.
Seguendo l’esempio dell’Autorità Portuale, della Evergreen Line e di due azionisti della Taranto Container Terminal – Evergreen Group e GSI Logistic – che avevano sottoscritto l’accordo 24 ore prima. Accordo che sarà ratificato presso la Presidenza del Consiglio fra tutte le parti in causa, compresi i trasportatori cinesi e il Comune di Taranto, per dare il via ufficiale ai lavori previsti nell’accordo. Accordo che segue l’avvio dei lavori della Piastra Logistica, inaugurata a fine marzo e che prevede un investimento totale di 219,14 milioni di euro, oltre che la firma del protocollo di intesa con il Porto di Rotterdam ed il riconoscimento del pieno diritto dello scalo di far parte del Corridoio Multimodale N. 5 (Helsinki/La Valletta) nell’ambito delle Reti Trans-Europee di trasporto.
Sono questi i tasselli che l’Autorità Portuale di Taranto ha messo insieme mese dopo mese nel corso dell’ultimo anno sotto la presidenza di Sergio Prete, grazie al lavoro sinergico operato insieme ai sindacati e alla Direzione provinciale del Lavoro, oltre al grande senso di sacrificio e responsabilità mostrato dai 500 lavoratori della TCT, che casomai qualcuno se lo fosse dimenticato, hanno accettato una cassa integrazione straordinaria per i prossimi due anni, partita proprio lunedì. Sacrificio che ha permesso anche la decadenza della procedura di mobilità per 160 di loro, minacciata da TCT lo scorso autunno. Sempre ieri, infine, si è svolto un incontro tra l’Autorità Portuale e l’assessorato provinciale alle politiche del lavoro, per la riqualificazione del personale (di cui parliamo a parte).
Entro i prossimi 24 mesi, dunque, come riporta anche il “Sole24Ore”, “dovrebbero essere completati una serie di lavori come il dragaggio dei fondali e una diga foranea che permetterebbero l’attracco delle nuove navi porta-container con maggiore pescaggio. Nello stesso periodo, o spostato di qualche mese più avanti, potrebbero finire invece i lavori per costruire una nuova banchina attraverso cui Taranto sarebbe in grado di ricevere e movimentare anche oltre quattro milioni di container all’anno”.
Se tutto questo fosse realmente vero, e soprattutto realizzato nei tempi previsti, “potrebbe essere la rinascita della città, soffocata oggi sotto una nube di polemiche per la diossina degli impianti industriali esistenti, e una grande iniezione di fiducia per tutto il Paese. Su questo punto di leva si può iniziare a risollevare l’economia dell’Italia, dando anche un enorme contributo alla soluzione della questione meridionale, e cambiando la scena dell’Europa, perché il fulcro degli scambi con la dinamicissima Asia può ritornare, come fu per secoli, la Penisola”. Certo, fosse tutto così semplice. Ad esempio, il problema dei dragaggi non è così facile da gestire: visto che parliamo di fondali altamente inquinati, sui quali bisogna operare con la massima attenzione. Ammesso e non concesso che si possa effettivamente lavorare in tal senso in Mar Grande.
E’ altresì vero però che la Hutchison, proprietaria della metà della concessione del porto ionico, l’altra metà è di Evergreen, consorella di Taiwan, è il maggiore trasportatore di container del mondo ed il progetto, qualora prendesse il via, potrebbe trasformare Taranto in quella famosa porta commerciale dell’Asia nel Mediterraneo. Anche il “Sole24Ore”, del resto, utilizza una serie di “se” ipotetici. “Se la grande “dinamo” cinese, attraverso le due società, volesse fare di Taranto e dell’Italia il ponte per i trasporti con l’Europa, Taranto e il meridione potrebbero trasformarsi radicalmente, e l’intero Paese potrebbe trovare nel Sud il suo nuovo punto di crescita”.
La differenza rispetto al passato consta proprio nell’Accordo che impegnerà oltre 400 milioni di euro per lo scalo ionico, che gode di caratteristiche tecniche e paesaggistiche uniche in Europa: Taranto ha spazio per altre banchine, ha alle spalle una pianura che può essere trasformata in una base per l’industria di trasformazione del porto stesso. Ovvero, proprio quello che dovrà accadere con la Piastra Logistica: “I container potrebbero essere aperti, smistati e reimpacchettati in strutture alle spalle del porto. Un’intera nuova economia potrebbe crescere intorno a Taranto e quindi far decollare una città oggi di 200mila abitanti in un qualcosa con 800mila persone”.
Del resto, gli analisti del settore affermano che gli scambi commerciali e industriali tra Europa e Asia sono destinati a crescere velocemente nei prossimi decenni ed il problema è, appunto, da dove far passare questo “mare” di merci. E’ la domanda che si pone anche il “Sole24Ore”: “camminerà attraverso l’Italia, dove Hutchison ed Evergreen hanno già investito milioni con Taranto, o passerà attraverso la Grecia, la Spagna o il Nord Africa, tutte destinazioni che offrono condizioni migliori di quelle nostre? Difficile che i cinesi che avessero speso e fallito a Taranto possano poi tentare nuovi esperimenti in altre località italiane. Un passaggio direttamente su Taranto taglierebbe tempi e costi di trasporti rispetto sia ai porti del Nord Europa che ad altri del Mediterraneo, vista la sua posizione geografica. Quindi porterebbe vantaggio a tutti, facendo guadagnare anche i tedeschi, che potrebbero quindi essere cointeressati allo sviluppo di questo porto”.
Ma. C’è sempre un unico, grande ma. Che da queste colonne abbiamo più volte rilanciato negli ultimi anni, ma di cui nessuno pare voglia occuparsi. Ed è una sottolineatura che rimarca anche il “Sole24Ore”: dunque, non possiamo certo essere tacciati di essere di parte o anti-industria. “Servono però altri lavori. La ferrovia deve essere allungata di pochi chilometri fino ad entrare nel porto; la linea fino a Bari, una sessantina di chilometri, deve essere raddoppiata; l’autostrada, che oggi si ferma alle soglie della città, deve arrivare fino alle banchine. Non sono opere gigantesche né, diversamente da altre, sono controverse, ma si sono perse per decenni in paludi burocratiche”.
Si tratta della famosa area retro portuale e della logistica dei collegamenti intermodali (marittimi, ferroviari, autostradali, aeroportuali), che rischia appunto di restare un bellissimo progetto solo sulla carta, perché è evidente a chiunque (anche al “Sole24Ore” che però omette “saggiamente di scriverlo) che tutto ciò andrà inevitabilmente a scontrarsi con gli invasivi impianti industriali presenti sul nostro territorio (Eni, Cementi ed Ilva), posti proprio nel punto di congiunzione di tutte le vie di comunicazione e di accesso alla città.
Un insediamento industriale grande ben oltre due volte la città, che da sempre limita e compromette l’accesso a tutti i suoi servizi più essenziali. Questo stato di cose ha da sempre impedito il reale sviluppo e l’espansione della nostra città, impedendo l’apertura dei servizi urbani più moderni ed irrinunciabili per una città come Taranto, come ad esempio la posa di binari rettilinei per le linee ad alta velocità, la costruzione dei servizi per i viaggiatori, l’accesso agli scali nautici passeggeri nell’ottica della intermodalità.
Nonostante i mille dubbi sul futuro, dunque, “Taranto potrebbe essere un punto di svolta vero per il governo e per l’Italia oggi. Questo progetto offre una grande prospettiva di sviluppo per l’Italia e l’Europa al di là delle mille pur necessarie ricette di austerità fiscale e di spesa”. E se lo dice anche il “Sole24Ore”…
Gianmario Leone (dal TarantoOggi del 30 maggio 2012)
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