Perché nonostante le analisi sui campioni prelevati dallo scorso agosto alle ultime di aprile (arrivate proprio in occasione del tavolo di venerdì), tranne per un campione di quelle dello scorso novembre, abbiano sempre dato esito negativo in merito al superamento del limite di contaminazione da diossina e Pcb (dal 1 gennaio 2012 il nuovo limite stabilito dalla UE è sceso dagli 8 ai 6,5 picogrammi in base alla variazione del Regolamento (CE) N. 1881/2006), il tavolo ha deciso di proseguire sulle indicazioni fornite dalla riunione del 17 novembre scorso: ovvero permanenza dell’ordinanza, ma possibilità di movimentazione del prodotto del I seno entro e non oltre il 30 giugno 2012.
Il tutto sotto vincolo sanitario e, previa deroga della succitata ordinanza, lo spostamento dovrà avvenire nelle aree già classificate del II seno e di Mar grande per il successivo finissaggio; inoltre, il prodotto potrà essere commercializzato previa verifica dei parametri di sicurezza alimentare previsti per i molluschi bivalvi vivi espletati dalla ASL. Ma che senso ha spostare un prodotto giudicato non inquinato in altre zone, invece di renderlo subito commercializzabile, si chiedono i mitilicoltori? Perché gravarli di un ulteriore spesa economica, che peraltro in molti sostengono di non poter sostenere? Anche perché il tempo rimasto è davvero pochissimo: il prodotto va venduto entro il mese di luglio, altrimenti seguirà la stessa destinazione del 50% della produzione del 2011: ovvero il forno dell’inceneritore dell’AMIU, con un danno economico quantificato in due milioni di euro. Inoltre, visto e considerato che sino ad aprile le analisi hanno dato esito negativo, in molti ritengono oramai inutile spostare il seme della produzione 2013 nello specchio d’acqua di Mar Grande, in un’area di 369.000 metri quadrati, prospiciente il lungomare. Ma il tavolo ha rinnovato la decisione di trasferimento del seme presente nel I Seno nelle aree individuate dal Comune di Taranto in Mar Grande “nelle more della necessaria classificazione”, che ricordiamo durerà la bellezza di sei mesi, il tempo necessario per capire se Mar Grande è idoneo o meno ad ospitare gli allevamenti: il bello è che nessuno ha sin qui dichiarato cosa accadrà qualora la classificazione non andasse a buon fine.
Spostamento inevitabile, visto che il tavolo ha anche intimato la rimozione totale degli allevamenti del I seno al fine di consentire le attività di risanamento ambientale dell’area (leggasi mega bonifica del Mar Piccolo: proprio oggi infatti, il sindaco Stefàno tornerà a scrivere una nuova lettera al premier Monti per ricordargli la necessità di stanziare i fondi necessari, che lo Stato deve alla città di Taranto, come risarcimento per i danni prodotti dall’Arsenale della Marina Militare in decenni di inquinamento selvaggio). Insomma, la soluzione del problema appare ancora lungi dall’essere trovata. Con il serio rischio che la situazione degeneri da un momento all’altro, visto che il settore della mitilicoltura occupa oltre tremila unità lavorative, che “stranamente” non vengono degnate di attenzione da parte dei sindacati confederali, evidentemente troppo impegnati a difendere i diritti dei soli lavoratori “tesserati” nonché l’eco-compatibilità della grande industria, concetto purtroppo non applicabile alle acque del Mar Piccolo.
I mitilicoltori, del resto, paiono non interessare nemmeno agli ambientalisti locali, che preferiscono dedicare il loro tempo ad inutili, noiosissime ed infinite polemiche virtuali sul social network Facebook, invece di dedicarsi alla difesa di una delle risorse naturali per cui è la nostra città è famosa in tutta il mondo. Trovando anche il tempo di farsi due passi nello stabilimento Ilva durante l’iniziativa “Porte Aperte” per fare i sapientoni e mettere in difficoltà le “guide turistiche” del siderurgico, oltre che andando a sfilare per le via di Massafra per dire un sacrosanto “no” al raddoppio dell’inceneritore “Appia Energy” del gruppo Marcegaglia: ma per difendere il Mar Piccolo, i suoi mitili e i nostri mitilicoltori, tempo e voglia pare proprio non ce ne sia. Una risorsa naturale coltivata con passione e amore per secoli, distrutta da un inquinamento di Stato (ma non solo, visto che in molti dimenticano troppo facilmente le responsabilità dei privati della grande industria) che non dovrà restare impunito.
A proposito di inquinamento: vogliamo nuovamente ricordare come l’area di Mar Grande che sarà utilizzata per il trasferimento del prodotto, è stata individuata nella zona della “Secca della Tarantola”, acque giudicate idonee alla mitilicoltura e dove diverse cooperative hanno concessione di operare. Ma un documento redatto dall’ISPRA nell’agosto del 2010, dall’eloquente titolo “Elaborazione e valutazione dei risultati della caratterizzazione ai fini della individuazione degli opportuni interventi di messa in sicurezza e bonifica del Sito di Interesse Nazionale di Taranto: Mar Grande II Lotto e Mar Piccolo”, segnalava quanto segue: “Dall’osservazione dei risultati analitici relativi all’area indagata, si evidenzia una contaminazione che interessa l’area adibita a mitilicoltura, l’area compresa tra la Secca della Tarantola ed il Ponte Girevole e l’area sottocosta antistante la città di Taranto. Tale contaminazione coinvolge i sedimenti almeno sino al primo metro di profondità, con qualche limitata presenza di superamenti dei valori di intervento anche nei livelli più profondi. Prevalentemente essa è dovuta a metalli ed elementi in tracce, in particolare Mercurio (Hg) e Zinco (Zn), e, in misura minore, Rame (Cu), Piombo (Pb) ed Arsenico (As)”. Tutto questo le nostre istituzioni lo sanno?
Gianmario Leone (dal TarantoOggi del 28 maggio 2012)
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