Eppure, nonostante la crisi mondiale in cui è sprofondato il capitalismo trascinato da una finanza da tempo fuori controllo, per la famiglia Riva i “nemici” invisibili risiedono altrove. Ad esempio, si trovano a Bruxelles, presso la Commissione Ambiente, che negli ultimi anni ha avuto l’ardire di votare troppe direttive che ledono gli interessi delle grandi aziende: “A livello europeo, è indispensabile che le istituzioni intervengano per garantire al settore condizioni di più equa competizione. Solo così, potremo fronteggiare una concorrenza, si pensi ai Paesi dell’Estremo Oriente o del Sud America, oggettivamente asimmetrica. La direttiva europea sulle emissioni industriali sta creando più di un problema alle aziende dell’acciaio, in primis a Ilva, primo polo siderurgico europeo”.
Altri ancora, invece, se ne trovano al Ministero dell’Ambiente, che a detta dei Riva si è lasciato colpevolmente condizionare a livello emotivo dai dati delle perizie presentate dal CTU nominato dalla Procura di Taranto, nell’ambito dell’inchiesta che vede l’Ilva accusata di reati pesantissimi, tra cui quello di disastro ambientale. Tale condizionamento ha portato alla riapertura del procedimento dell’AIA, evento che ha alquanto indignato la famiglia Riva. Tanto da “costringerli” a ricorrere per l’ennesima volta al Tar, per un semplicissimo motivo: “Il nostro impegno è finalizzato a completare il più velocemente possibile le prescrizioni dell’AIA entrate in vigore il 23.08.2011 e non a discutere il riesame che, a così breve distanza di tempo, risulta del tutto illogico e privo di significato”. La nota ufficiale in cui si annuncia il ricorso è del 15 maggio: e pensare che appena cinque giorni prima, Nicola Riva aveva dichiarato in un’intervista quanto segue: “Ora il Ministero dell’Ambiente vuole rivedere l’Aia: va bene, la rivedremo”. Del resto, alla famiglia Riva non va proprio giù l’essere costretta a subire l’ennesimo “processo” alle intenzioni.
L’Aia concessa lo scorso 5 luglio infatti, ha avuto un iter lungo e complesso: ben cinque anni, ben 1050 pagine di documenti, in cui però non ha trovato posto, casualmente, la copertura dei parchi minerali. Sia quel che sia, l’Aia venne rilasciata col beneplacito di istituzioni e sindacati: i veri “infedeli” del nuovo millennio. Peccato però, che nelle tante interviste rilasciate nell’ultimo periodo, il presidente del gruppo Ilva dimentichi di dichiarare come l’azienda abbia già presentato ricorso presso il Tar di Lecce, peraltro vinto, contro alcune prescrizioni dell’Aia in questione: i sistemi di abbattimento di macro e micro inquinanti, il piano di monitoraggio e controllo delle emissioni e la revisione della rete di smaltimento delle acque reflue. Ciò detto, resta da capire come sia stato possibile essere influenzati emotivamente dalle due perizie del CTU, quando la stessa Ilva, nell’ultima nota ufficiale, dichiara che “le recenti perizie, prodotte all’interno dell’incidente probatorio, dimostrano che l’obiettivo delle legge vigenti sia stato ottenuto”.
Sarà che magari qualcuno, da Bruxelles a Roma passando per la Procura di Taranto, si sia lasciato “condizionare” dalle tante evidenze relazionate dai periti chimici ed epidemiologi, come quando affermano senza troppi giri di parole che “poiché allo stato attuale alle emissioni derivanti da questi impianti non sono installati i sistemi di controllo in continuo né viene verificato il rispetto dei limiti dei parametri inquinanti previsti dal D.M. 5 febbraio 1998 sopra detti, tali emissioni non risultano conformi a quanto previsto dalla normativa nazionale. Inoltre poiché ai suddetti camini non sono installati i sistemi di controllo in continuo alle emissioni, non c’é alcun elemento che dimostri il rispetto dei limiti”.
E’ ben vero però, che anche i Riva qualcosa devono riconoscerla, ma senza esagerare: “È logico che non è bello vivere vicino a un impianto siderurgico, ma neppure abitare a fianco della tangenziale di Milano lo è”. Ma al di là della crisi e dei tanti nemici invisibili, l’Ilva è ben contenta di sapere che qualcuno è sempre ben disposto all’ascolto delle sue recriminazioni: come ad esempio il Tar di Lecce. Certo, la comunicazione tra il tribunale e l’Ilva non sarà delle migliori se la bocciatura di un’ordinanza sbagliata da parte del tribunale amministrativo, per i Riva si trasforma nella prova provata che “ci dicono che abbiamo ucciso uomini, donne e bambini: per il Tribunale di Lecce non c’è emergenza sanitaria. Le ordinanze del sindaco sono state rigettate dal Tar”.
D’altronde, si fa di necessità virtù. E se è vero che, come afferma il presidente dell’Ilva, “se poi ci chiedono di andare a piedi sulla luna, allora non ce la facciamo”, è altrettanto vero che per farlo sarà sufficiente visitare “gli sterminati paesaggi lunari dei parchi minerari” e lasciarsi andare all’immaginazione. Mi raccomando però: guai a voi se commettete l’errore di pensare che ciò che state ammirando saranno soltanto delle semplici apparenze.
Gianmario Leone (dal TarantoOggi del 21 maggio 2012)
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