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Quote Co2, vittoria dell’Eni davanti al Tar del Lazio

Presso il Tar del Lazio (Sezione Seconda Bis) è stata depositata lunedì scorso la sentenza n. 4294: che ci riguarda molto da vicino. Una sentenza pronunciata in merito al ricorso n.3237 del 2011, proposto dalla società Eni Spa, contro il Comitato Nazionale Gestione Direttiva 2003/87/CE del Protocollo di Kyoto, il Ministero dello Sviluppo Economico e il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare.

Alla base del ricorso, la richiesta da parte dell’Eni, dell’annullamento del provvedimento protocollato SEC-2011-0001079 del 3 febbraio 2011 del Comitato Nazionale per la Gestione della Direttiva 2003/87/CE, che seguiva il primo diniego – adottato con provvedimento del 25 marzo 2008 – di assegnazione di quote di emissioni integrative, in qualità di impianto “nuovo entrante” secondo la normativa comunitaria e nazionale in materia. E’  la seconda volta in due anni infatti, che il Tar del Lazio annulla il provvedimento del Comitato ETS che aveva negato a Eni il diritto ai permessi di emissione di CO2 in qualità di nuovo entrante per la raffineria di Taranto.

Facciamo un passo indietro: nel 2005 l’Eni aveva installato presso la raffineria di Taranto un impianto sperimentale EST da 1.200 barili al giorno: tale tecnologia che sta per l’acronimo di Eni Slurry Technology, è stata creata “per la conversione dei residui petroliferi pesanti in prodotti pregiati, benzina e gasolio”. L’impianto di Taranto è stato creato ad hoc per fungere da riferimento operativo, sperimentale e progettuale dell’impianto che sarà completato entro la fine del 2012 presso la raffineria di Sannazzaro de’ Burgondi dalla capacità di 23 mila barili al giorno. Il progetto EST, si legge sul sito ufficiale dell’Eni, “é in grado di convertire totalmente i residui petroliferi, i greggi pesanti e le sabbie bituminose in carburanti di alta qualità e prestazioni”. A livello tecnico, si tratta di un processo di idroconversione che si sviluppa impiegando uno speciale catalizzatore e l’idrogeno autoprodotto partendo dal gas metano (qualcuno ricorda la storia della famosa centrale Enipower su cui ancora non è stata scritta la parola fine?).

Dunque, l’Eni ha fatto richiesta per entrare nell’elenco delle aziende per l’“Assegnazione delle quote di emissione di CO2 per il periodo 2008-2012”, che riguarda due tipologie di impianti: quelli termoelettrici e quelli non termoelettrici. Alla base, c’è il famoso Protocollo di Kyoto che impone all’Italia di ridurre le proprie emissioni di gas ad effetto serra del 6,5% rispetto ai livelli del 1990: ciò implica che le emissioni medie nel periodo 2008-2012 non potranno superare 486,01 MtCO2eq/anno. L’inventario nazionale delle emissioni di gas ad effetto serra relativo all’anno 2006 evidenzia che al 2004 le emissioni totali di gas ad effetto serra (583,33 MtCO2eq) sono aumentate del 12% rispetto ai livelli del 1990 (519,79 MtCO2eq).

Pertanto la distanza che ci separa dal raggiungimento dell’obiettivo di Kyoto è pari a 97,32 MtCO2eq. Per colmare tale “gap” in maniera economicamente efficiente occorre mettere in atto una combinazione equilibrata di misure tra i vari settori industriali, comprendenti sia la riduzione delle quote da assegnare per la seconda fase di attuazione della direttiva 2003/87/CE sia la realizzazione di misure addizionali nei settori non regolati dal D.lgs. 4 aprile 2006, n. 216, eventualmente integrate dall’acquisto di crediti derivanti dai meccanismi di Kyoto. E non è un caso se il settore elettrico (investimento sulla nuova centrale Enipower con +276% di CO2 nell’aria) e la raffinazione (raddoppio Eni mai abbandonato) sono caratterizzati da una minore esposizione alla concorrenza: infatti la capacità di import di energia elettrica è pressoché satura, mentre per il settore della raffinazione è nozione oramai consolidata che la saturazione della capacità di raffinazione a livello mondiale riduce significativamente la concorrenza all’interno dello stesso.

Il livello limitato di esposizione alla concorrenza internazionale di questi due settori permette inoltre agli operatori ad essi associati di ridistribuire eventuali oneri di acquisto quote su tutta la filiera dei prodotti energetici di riferimento. Il numero totale di quote che si intende assegnare per il periodo 2008-2012 è stata determinata come somma della quantità di quote che si intende assegnare agli impianti esistenti (186,02 MtCO2/anno) e quella da destinare ad eventuali impianti “nuovi entranti” (riserva “nuovi entranti”), stimata in 8 MtCO2/anno.

L’Eni non ci sta, dunque, e ha fatto ricorso: dichiarando che ha fatto modifiche all’impianto in questione e che la riserva di quote iniziali per i nuovi entranti era stata stabilita pari a zero. Il Tar del Lazio però, pur accogliendo la richiesta, ha detto che “il ricorso va accolto – previo assorbimento degli ulteriori profili di censura – con annullamento dell’atto impugnato, ai fini del successivo riesame della domanda da parte dell’Amministrazione in contraddittorio con l’odierna ricorrente, non essendo acquisiti in atti elementi tali da consentire a questo giudice la pronuncia di ulteriori specifiche misure”.

Dunque, la partita è ancora lungi dall’essersi conclusa. Ma la cosa davvero preoccupante è che di tutto questo, qui a Taranto, non parla nessuno. Eni compresa: un’azienda che gode di un silenzioso riparo istituzionale a 360° da sempre. Come se si trattasse di una specie di cono d’ombra, all’interno del quale nessuno può vedere ciò che accade. Una specie di fortino inespugnabile qual è l’Eni a Taranto, visto che a nessun tarantino è consentito avvicinarsi alla raffineria, previo “assalto” della vigilanza, nemmeno fossimo di fronte al Pentagono o alla Nasa. Anche questo, prima o poi, dovrà cambiare. 

Gianmario Leone (dal TarantoOggi del 18 maggio 2012)

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