Abbiamo pensato di girare questi quesiti ai diretti interessati. La risposta ci è arrivata da Alessandro Giannì, direttore delle campagne per l’Italia di Greenpeace: «Le nostre attività sulla centrale Federico II sono”contornate” da valutazioni estremamente approfondite e complesse. E, come può immaginare, costose – dichiara Gianni – semplicemente, non abbiamo le risorse (economiche, ma anche “umane”) che ci permettono di lavorare a questi livelli su tutti i fronti. Greenpeace rifiuta (per mantenere la sua indipendenza) soldi da enti, Stati, partiti politici e imprese e si finanzia (in Italia) con il contributo volontario di circa 58.000 persone che, letteralmente, “pagano” il nostro lavoro. Se avessimo (come in Germania) 10 volte più sostenitori potremmo occuparci di molto altro: mi piace dire che ogni Paese ha la Greenpeace che si merita».«Inoltre – continua il responsabile del movimento – Greenpeace è un’associazione ambientalista che si occupa di temi globali: nel caso di Enel si tratta della principale emergenza ambientale planetaria, il cambiamento climatico. Molte altre associazioni si occupano di temi locali (che non sono ovviamente per nulla meno gravi e/o importanti), Greenpeace focalizza le sue poche risorse su quello che altri difficilmente potrebbero affrontare. Infine, anche per i pochi fondi a nostra disposizione, l’ufficio di Greenpeace ha una struttura snella (circa 40 persone in Italia, di cui 10 si occupano direttamente delle campagne) e non ha sedi territoriali: i nostri gruppi di volontari presenti in una trentina di città in Italia non sono “uffici locali” di Greenpeace ma, appunto,solo gruppi informali di persone che ci aiutano a diffondere sul territorio le nostre campagne. In pratica, seguire i dettagli delle varie realtà locali (ripeto: per quanto importanti) non ci è proprio possibile».
Alessandro Gianni ribadisce che il lavoro di indagine su Enel si è rivelato tecnicamente complesso, al punto che Greenpeace ha preferito fare ricorso ad uno studio esterno di consulenza (SOMO) sostenendo costi piuttosto elevati. Questa, quindi, la spiegazione gentilmente fornita dal rappresentante di Greenpeace. Noi prendiamo atto delle sue parole manifestando, però, l’auspicio che in un prossimo futuro questa importante organizzazione internazionale trovi il modo di occuparsi anche di Taranto e del suo dramma ambientale. Augurarselo, almeno questo, non costa nulla.
Alessandra Congedo
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Ritengo parecchio debole la risposta di Greenpeace: l'insieme delle centrali elettriche di Taranto (Ilva, ex Edison, ENI, ecc.) emettono più CO2 di quelle di Brindisi; nell'atmosfera di Taranto viene emesso oltre il 90% della diossina prodotta in Italia; sul benzo(a)pirene è la stessa cosa; nei mari di Taranto viene scaricata la maggiore quantità di mercurio, metalli pesanti, ecc. E' la città più inquinata d'Italia e forse d'Europa. Cos'altro deve succedere per ottenere attenzione da Greepeace? Oltretutto, non permettono ai loro gruppi locali di appoggiare/sostenere le campagne promosse da associazioni autorevoli quanto loro.