Elezioni a Taranto, una corsa tra i veleni
Taranto è una città che vive di paradossi. Perché quella che Quinto Orazio Flacco nelle Odi definì “quell’angolo di mondo che più d’ogni altro m’allieta”, oggi è soltanto un ricordo lontano, lontanissimo nella memoria. Le è rimasta incollata addosso la bellezza dei tramonti mozzafiato, il gioco scintillante dell’acqua dei Due Mari che la avvolgono, l’umile fierezza della gente di mare. Ma dietro questo velo di Maya, si nasconde una città che ha perso il bene più prezioso: la libertà di essere libera e decidere del proprio destino. Stretta dalla tenaglia mortale della grande industria (da fine 800 con l’Arsenale Militare della Marina) oggi rappresentata da nomi altisonanti del panorama economico internazionale (Ilva, Eni, Cementir), ha visto negli anni andar via migliaia di giovani e con loro la speranza di un futuro diverso. Come ha visto volare via migliaia di anime di uomini, donne e bambini, che hanno pagato e continuano a pagare dazio per politiche scellerate che han sdoganato negli anni un inquinamento senza eguali. Taranto città dei paradossi, dunque. Dove domenica si torna a votare per delle amministrative che hanno il sapore amaro della beffa, per una città contraddistinta dal suo storico dna di “molle tarentum”, che assiste impotente al desolante spettacolo offerto da una politica che da anni ha perso non solo credibilità, ma anche la faccia. A conferma di ciò, i numeri da record di questa campagna elettore: 11 candidati sindaco con 32 liste in gara, un esercito che per qualche decina di comparse non tocca la “mitica” quota dei mille!
“Tutti” con Stefàno pur di vincere
Ippazio Stefàno, sindaco uscente e auto ricandidatosi, venne eletto nel 2007 spinto dal vento di una nuova primavera “rossa” tarantina. Con una città a rischio estinzione per il crac finanziario prodotto dalla precedente giunta di centrodestra, la città affidò il proprio destino al pediatra della porta accanto ed ex Senatore, per provare ad uscire dalle secche del debito finanziario e dall’asfissia dell’inquinamento. Dopo 5 anni però, le cose non sono cambiate. Il Comune ha ancora gran parte del debito da smaltire (quasi 300 milioni) e il rapporto con la grande industria ha spesso e volentieri sfiorato il ridicolo. Con Stefàno che se da un lato ha intrapreso un inutile braccio di ferro con la Osl per le procedure di estinzione del debito, dall’altro non ha saputo guardare dritto negli occhi la grande industria, ottenendo come unico “risultato” il rilascio della procedura AIA all’Ilva lo scorso 5 luglio, che salutata con giubilo da istituzioni, sindacati e Confindustria, ora sarà riaperta per “volontà” del ministro dell’Ambiente Clini, dopo le due maxi perizie presentate nell’inchiesta che la Procura di Taranto ha avviato contro l’Ilva per una serie di reati, tra cui disastro ambientale. Dunque, appare scontato come il 37% ottenuto nel primo turno di 5 anni fa, sia semplicemente un miraggio. Ma Stefàno dovrà guardarsi le spalle oltre che dal malcontento dei tanti disillusi, anche dai franchi tiratori dei suoi più “stretti” alleati: come ad esempio il Partito Democratico, che si è fatto “dettare la linea” da Bari (Vendola) e da Roma (Bersani), rinunciando alle “democratiche” primarie, per questo obbligato ad appoggiare il Sindaco uscente. Pd ionico al cui interno è da tempo in corso una lotta di potere, tra i vari Michele Pelillo (assessore regionale al Bilancio), Gianni Florido (Presidente della Provincia) e Ludovico Vico (parlamentare a Roma). Se poi a questo aggiungiamo che a Taranto Stefàno oltre che dal Pd, sarà appoggiato dall’Udc, dal Fli, dall’Idv, dall’Udeur, dall’API, dal PSI, dal Sel, è evidente come da queste parti si voglia provare a vedere l’effetto che fa la grande coalizione che in molti a Roma sognano di mettere insieme in vista delle politiche del 2013. Certamente, dunque, i problemi per Stefàno verranno dall’interno e non, ad esempio, dal centrodestra.
Quel che resta del centrodestra
Sono due le date del doppio tsunami che ha travolto il centrodestra tarantino. Quella del 17 febbraio 2006, quando l’allora sindaco Di Bello si dimise dall’incarico a seguito di una condanna (1 anno e 4 mesi, pena sospesa) per abuso d’ufficio e falso ideologico nell’ambito di un’inchiesta sull’affidamento della gestione dell’inceneritore cittadino alla società Termomeccanica. La seconda, il 4 novembre 2011, quando all’ospedale di Bari si spegne Pietro Franzoso, deputato in carica del Pdl e vero padre padrone del centrodestra ionico, che nel 2004 fu arrestato su mandato della Procura Antimafia di Lecce con l’accusa di aver agevolato la malavita organizzata in cambio di favori elettorali, nel 2007 venne assolto dal tribunale di Taranto. La prematura ed improvvisa scomparsa de “lu Pietru”, unico in grado di tenere ben salde le briglie di un centrodestra sempre più spaccato, ha spento le speranze di tornare ad essere credibili e competitivi. Ecco perché, dopo una serie di rifiuti eccellenti e candidature sfumate, si è “scelto” di puntare su Filippo Condemi, avvocato, chiamato a limitare i danni di quello che sarà un sicuro insuccesso.
Il fascino intramontabile di Cito
Guardando un po’ più a destra, però, c’è chi ancora oggi può recitare un “pericoloso” ruolo di primo piano. E’ Mario Cito, figlio del più famoso Giancarlo, plurindagato e condannato ex Sindaco ed ex parlamentare, tornato agli inizi di aprile in galera per una condanna in via definitiva della Cassazione in merito all’ennesima storia di tangenti. Ma il fascino intramontabile dell’ex estremista di destra (nel 1979 venne espulso dal MSI per il suo estremismo) e del precursore del “berlusconismo” (alla fine degli anni ’80 con il suo canale 33 poi Antenna Taranto 6 infiammerà gli animi di una città distrutta dalla faida delle famiglie mafiose e disgustata dalla classe dirigente di allora) fa ancora molta presa in città. Basti solamente pensare che alle ultime amministrative gestì la campagna elettorale del figlio candidato, riuscendo a fargli ottenere oltre 17 mila voti, sfondando la soglia del 15%, con il solo partito della Lega d’Azione Meridionale. Cinque anni dopo, con altre due condanne sulle spalle, Cito riprova a mettere nell’angolo la politica dei grandi partiti: con il figlio Mario, costretto per forza di cose a prenderne il testimone, che rappresenta il più accreditato sfidante di Stefàno.
L’ambientalismo borghese radical chic
Ma oltre al dissesto economico, è sull’ambiente che si gioca la vera partita di queste amministrative. Un argomento di cui tanti ancora oggi sanno pochissimo, ma che deciderà il futuro di questa città. Ed anche Taranto ha il suo asso nella manica: è Angelo Bonelli, presidente della Federazione dei Verdi, ex parlamentare ed attuale consigliere regionale del Lazio, richiamato a gran voce dagli ambientalisti locali, che negli ultimi anni non sono riusciti ad unirsi, perdendo il tempo a litigare invece di impegnarsi per disegnare insieme ai cittadini un futuro diverso. Bonelli è appoggiato da ben cinque liste, oltre che dalla gran parte della borghesia tarantina, uno dei mali peggiori di questa città. Gli stessi che negli anni hanno mandato al potere i vari Cito, Di Bello e Stefàno, ma che nella pratica non hanno fatto mai nulla per questa città, dall’alto dei loro salotti e dei loro lauti stipendi, con i loro figli in giro per le più facoltose università italiane, e che oggi sono stati fulminati sulla nuova via di Damasco, la moda dell’ambientalismo radical chic, pronti ad appoggiare il romano Bonelli, forse ancora ignaro del guaio in cui si è cacciato. Ecco perché in molti, non a torto, ritengono Bonelli come possibile avversario di Stefàno al ballottaggio, in una guerra all’ultimo voto con il giovane Cito.
Gli outsider
Oltre a tutto questo, ci sono altri 7 candidati a sindaco. Come Dante Capriulo, ex Pd ed assessore della giunta Stefàno (in 5 anni 17 gli assessori cacciati) appoggiato da Rifondazione Comunista e dal Mjl, che corre da solo dopo le primarie negate. C’è Patrizio Mazza, consigliere regionale in rotta con il suo attuale partito, l’Idv, ematologo emiliano trapiantato qui da oltre 20 anni, che ha fondato il movimento “Cambiamo Taranto” che guarda oltre le prossime elezioni. Concorrono anche altri movimenti, come “Galesus” di Mimmo Festinante (ex Pdl ed ex pro Stefàno), “Taranto C’è” di Luigi Albisinni, il movimento “Cinque Stelle” di Grillo con il giovanissimo Alessandro Furnari, “Io Sud” della Poli Bortone con l’altro giovanissimo Massimiliano Di Cuia, ed il movimento politico del presidente della Provincia di Bari Schittulli che candida l’unica donna, Felicia Bitritto Polignano.
Un guazzabuglio incredibile, dunque. Dal quale uscirà vincente, quasi certamente, Stefàno: che però dovrà fare i conti con le pretese dei suoi tanti veri o presunti alleati. Con la grande industria che ringrazierà ancora una volta una politica specchio di una città ancora oggi troppo frammentata e poco fiera di sé stessa. Difficilmente dureranno a lungo. Non solo loro.
Gianmario Leone (da Il Manifesto del 3 maggio 2012)