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Ilva, parte il riesame – Sarà l’ennesima perdita di tempo?

TARANTO – La domanda del giorno è la seguente: da oggi assisteremo all’ennesima sceneggiata istituzionale o finalmente qualcuno inizierà a provare a fare le cose sul serio? Questa mattina infatti, a Roma, presso il Ministero dell’Ambiente, si apre il riesame per l’Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA) rilasciata all’Ilva S.p.A. lo scorso 5 luglio. Un giorno salutato all’epoca dei fatti come “storico” dalle istituzioni tutte, dai sindacati e da Confindustria, per il rilascio di un documento che per legge autorizza l’esercizio di un impianto o di parte di esso a determinate condizioni che devono garantire la conformità ai requisiti previsti dal decreto legislativo del 3 aprile 2006, n. 152, modificato poi dal decreto legislativo 29 giugno 2010, n. 128, che costituisce l’attuale recepimento della direttiva comunitaria 2008/1/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 15 gennaio 2008 sulla prevenzione e la riduzione integrate dell’inquinamento (IPPC).

Un documento, quello dello scorso luglio, rilasciato dopo un lunghissimo iter procedurale, basato sui tre pareri istruttori conclusivi (PIC) redatti dalla Commissione IPPC (ottobre 2009, dicembre 2010, maggio 2011), che di fatto ha regalato all’Ilva la possibilità di rimandare nel tempo tutti quegli interventi mirati all’abbattimento delle emissioni altamente impattanti sull’ambiente. Azioni ulteriormente dilazionate dai tempi lunghi che l’AIA concede per l’adeguamento degli impianti alle prescrizioni. Tempi che l’Ilva ha saggiamente saputo allungare ancora, dopo il ricorso al TAR di Lecce dello scorso dicembre, avverso alcune prescrizioni dell’AIA con l’interno di “ammorbidirle”: istanza di sospensione inoltrata da ILVA che il TAR ha accolto relativamente a 3 dei 7 punti sollevati dall’azienda. La questione sarà discussa nel merito in un’udienza fissata per il 6 giugno prossimo. In pratica tutto il contrario del detto “chi ha tempo non aspetti tempo”.

Il bello è che nell’AIA rilasciata all’Ilva, mancano del tutto quelle prescrizioni che, se presenti nel provvedimento, avrebbero quanto meno dato un senso ad un documento che l’azienda siderurgica non avrebbe mai dovuto ottenere. Specie se si pensa agli esiti drammatici forniti dalle due perizie – chimica ed epidemiologica – del CTU incaricato dal GIP Patrizia Todisco della Procura di Taranto nell’ambito dell’incidente probatorio effettuato per l’inchiesta contro l’Ilva accusata, tra l’altro, anche di disastro ambientale. Basti pensare, ad esempio, a quello che i periti chimici affermano nelle conclusioni della loro perizia, quando scrivono che nello stabilimento “non sono adottate tutte le misure idonee ad evitare la dispersione incontrollata di fumi e polveri nocive alla salute dei lavoratori e di terzi”. Anche i periti, quindi, ritengono come siano necessarie misure decisamente più rigorose per contenere il massiccio carico inquinante provocato dall’Ilva. Che però accusa suoi non meglio precisati avversari di fermarsi alle semplici apparenze.

Eppure, se non fosse stato per le due perizie, per i nostri politici tutto sarebbe filato liscio, nonostante il ricorso provocatorio presentato dall’Ilva. Idem per Confindustria, che se solo potesse, sdoganerebbe del tutto la grande industria da qualunque obbligo. Per non parlare poi dei sindacati, alla ricerca disperata di quella eco-compatibilità ossimoro assoluto per un impianto siderurgico, che comunque l’AIA di luglio non avrebbe mai consentito a raggiungere. E così, sentitisi smarriti dopo aver perso le loro certezze assolute, smontate solo parzialmente dalle due perizie, le istituzioni si sono rivolte al Governo per chiedere non solo il riesame dell’AIA, ma anche e soprattutto un’immensa, gigantesca “vertenza Taranto”, che dovrebbe portare sul territorio ionico una pioggia miliardi di euro come risarcimento da parte dello Stato in cambio del sacrificio offerto sull’altare del progresso economico del paese Italia della città dei Due Mari.

Miliardi destinati alle bonifiche che per i nostri prodi, compresi gli ambientalisti locali che oramai hanno assunto sempre più sembianze di politici abbandonando le “semplici” vesti di esponenti della società civile, rappresenterebbero la panacea di tutti i mali. Peccato, però, che nessuno ha sin qui indicato la strada da seguire, né ha spiegato come sarà possibile bonificare un territorio in cui continuano e continueranno ad operare industrie altamente inquinanti. Che inquineranno anche in un futuro oggi lontanissimo, allor quando, forse, saranno dotate delle migliori tecnologie in assoluto, che dovrebbero consentire alle stesse di rientrare all’interno di tutti i limiti imposti a livello di emissioni inquinanti da parte delle varie direttive europee.

Perché il futuro di Taranto è altrove e non nella grande industria riconvertita ad una presunta eco-compatibilità. Un futuro che si costruisce tutti insieme, non inseguendo chimere come le bonifiche, del tutto inutili finché le industrie continueranno ad operare sul nostro territorio. Ma qui siamo a Taranto, dove ognuno deve inseguire il proprio ego, il proprio interesse personale, o l’ultimo messia venuto a dirci come e cosa dobbiamo fare. Continuiamo a perdere tempo. Per questo, il riesame che parte oggi a Roma, sarà l’ennesima occasione per rimandare ai posteri scelte che nessuno, se non ancora in troppo pochi, ha voglia e coraggio di fare. Buon 1 maggio a tutti. “Il lavoro rende liberi”: ne siamo proprio sicuri?

Gianmario Leone (dal TarantoOggi del 30 aprile 2012)

 

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