L’associazione ambientalista diffonde oggi, a ridosso dell’assemblea degli azionisti Enel, un’anticipazione dei dati contenuti in uno studio che ha commissionato all’istituto indipendente di ricerca olandese SOMO. Lo studio è stato realizzato con l’obiettivo di misurare gli impatti ambientali, sanitari ed economici della produzione elettrica da carbone del principale gruppo energetico italiano. La ricerca realizzata da SOMO applica la metodologia utilizzata dall’Agenzia Europea per l’Ambiente (EEA) per stimare i danni delle emissioni atmosferiche degli impianti industriali in Europa, applicata su dati di emissione pubblici e di fonte istituzionale. Il briefing in italiano con le anticipazioni del rapporto è disponibile a questo link
http://www.greenpeace.org/italy/it/ufficiostampa/rapporti/Enel—Il-carbone-costa-un-morto-al-giorno/
«Che le emissioni delle centrali elettriche a carbone siano veleno è risaputo – ha dichiarato Andrea Boraschi – responsabile della campagna Energia e Clima di Greenpeace – Ora abbiamo una stima attendibile di cosa quel veleno causa, riferita all’azienda che maggiormente ne fa uso nel nostro Paese: una morte prematura al giorno, nel 2009. E se consideriamo che in quell’anno la centrale a carbone Enel di Civitavecchia non funzionava ancora a pieno regime, e guardiamo ai piani di espansione dell’azienda, con le centrali a carbone di Porto Tolle e Rossano Calabro, possiamo dire che questa macabra cifra potrebbe arrivare a sfiorare i 500 casi di morti premature l’anno in futuro».
I dati salienti della ricerca (tutti espressi in riferimento ai dati di emissione del 2009) forniscono una stima economica dei costi indiretti della produzione termoelettrica a carbone di Enel in Italia, valutati in quasi 1,8 miliardi di euro (circa 2,1 miliardi con la centrale di Civitavecchia a pieno regime); e una stima degli impatti sanitari, espressa in termini di mortalità prematura, di 366 casi di morte attesi nel 2009 (che diverrebbero oltre 400 con Civitavecchia a pieno regime e a parità di produzione negli altri impianti) [3].
«La metodologia che applichiamo in questa ricerca – ha proseguito Boraschi – ha dei margini di approssimazione largamente precauzionali. Infatti analizza solo un numero ristretto di inquinanti ed emissioni, tralasciando gli impatti di agenti come nichel, cadmio, mercurio, arsenico, piombo o di materiali radioattivi come l’uranio. Alla luce di questi dati, che Enel può ben conoscere ma che si guarda bene dal pubblicare nei suoi rapporti di sostenibilità ambientale, la scelta dell’azienda di continuare a puntare sul carbone, sabotando a più riprese il settore delle rinnovabili, appare ancora più sciagurata. Quando diciamo Enel, e pensiamo al primato industriale che l’azienda assegna al carbone, parliamo di circa mille morti in più all’anno e danni complessivi per circa 4,3 miliardi di euro in Europa. È evidente che occorre ridefinire drasticamente gli assetti industriali dell’azienda che è ancora, per il 30 per cento, in mano pubblica».
Secondo lo studio di Greenpeace la realizzazione degli impianti a carbone Enel di Porto Tolle e Rossano Calabro costerebbe fino a 95 casi di morti premature l’anno, e danni stimabili in ulteriori 700 milioni di euro l’anno. L’associazione ambientalista chiede all’azienda di dimezzare la produzione elettrica da carbone da qui al 2020 e di portarla a zero al 2030, investendo contemporaneamente in fonti rinnovabili per compensare la perdita di produzione. I dati presentati oggi da Greenpeace sono parte di un’investigazione a 360 gradi che l’associazione ambientalista sta svolgendo su Enel, l’azienda numero uno in Italia per emissioni di CO2, dunque la più nociva anche per il clima. Alle indagini di Greenpeace possono partecipare tutti attraverso il sito www.FacciamoLucesuEnel.org
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