“Tempa Rossa”, l’oro nero italiano – L’inchiesta de “Il Manifesto”

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Un’inchiesta su un progetto che vede alleate Eni, Total, Exxon Mobil e Shell, dal valore di oltre 1 miliardo di euro e giudicato dalla Goldman Sachs tra i 128 progetti più importanti al mondo in fase di attuazione, “capaci di cambiare gli scenari mondiali dell’energia estrattiva”. Approvato ad occhi chiusi da Istituzioni e sindacati, contribuirà a distruggere l’ecosistema della Basilicata e aumenterà l’inquinamento nell’aria di Taranto

Se in questo paese sappiamo fare le automobili, dobbiamo saper fare anche la benzina”: quando Enrico Mattei, fondatore dell’Eni nel 1953, pronunciò questa frase a Vittorio Valletta, storico dirigente della FIAT, eravamo sul finire degli anni ’50. Chissà cosa penserebbe oggi l’ultracentenario Mattei se fosse ancora in vita, sapendo che proprio la sua Eni, creata per rompere il monopolio delle famose “sette sorelle” (le maggiori compagnie di petrolio dell’epoca), ancora oggi recita una parte da comprimaria, piuttosto cha da padrona di casa sul “suolo italico”, che lui stesso difese durante la Resistenza come partigiano, tra i cosiddetti “bianchi” (quelli, cioè, che si riferivano all’area politica cattolica).

Tempa Rossa: un’opera da 1 miliardo e 300 milioni di euro

Sintesi di quanto sopra, è ciò che sta accadendo in questi mesi in Basilicata, considerata l’“Arabia Saudita” italiana, e a Taranto, dove si trova una delle più grandi e strategiche raffinerie Eni in Italia, unite dall’oleodotto di Viggiano (lungo 136 km) che collega le installazioni petrolifere della Val d’Agri alla raffineria ionica, suo terminale d’esportazione. Strutture che saranno il cuore pulsante di “Tempa Rossa”, considerato dalla banca d’affari Goldman Sachs tra i 128 progetti più importanti al mondo in fase di attuazione, “capaci di cambiare gli scenari mondiali dell’energia estrattiva”. Fase d’attuazione che sta per scadere, in quanto lo scorso 11 aprile la Total Esplorazione & Produzione Italia (Gruppo Total) ha reso noto di aver sottoscritto il 5 aprile una ‘Lettera di Intenti’ (LOI) sull’esecuzione delle attività di “Engineering, Procurement, Supply, Construction and Commissioning del trattamento “Oil & Gas Tempa Rossa” con l’associazione temporanea di imprese tra Tecnimont S.p.A. e Tecnimont KT S.p.A., società entrambe controllate dalla Maire Tecnimont S.p.A., quotata in borsa dal 2007 e gestita dall’imprenditore romano Fabrizio Di Amato (scelto direttamente dalla francese Total grazie al commissario europeo responsabile per il Mercato interno e i servizi, il francese Michelle Barnier che ha liberalizzato la disciplina che regola i rapporti tra i titolari di concessioni pubbliche, come quelle assegnate in Italia per la ricerca e l’estrazione di idrocarburi e i loro vari fornitori). L’attività di ingegneria prenderà il via il prossimo 14 maggio e la firma del contratto è attesa a breve: il valore complessivo sarà di circa €500 milioni. In realtà, affinché le ruspe entrino in azione, serve solo l’ultima autorizzazione dell’Ufficio nazionale minerario, che dovrebbe arrivare a breve. Alle aziende locali lucane invece, la Total concederà il “privilegio” di effettuare soltanto i lavori civili (di preparazione a quelli che farà la Maire Tecnimont) per la modica cifra di 60 milioni di euro. Il valore stimato dell’opera, secondo il progetto definitivo approvato lo scorso 23 marzo dal CIPE (organo per il quale “Tempa Rossa” “contribuirà a sviluppare la produzione di petrolio in Italia e ridurre la dipendenza energetica dall’estero”), è però di un miliardo e trecento milioni di euro. Dall’altro lato invece, guardando verso Taranto, il 19 settembre 2011 l’allora ministro dell’Ambiente Stefania Prestigiacomo, firmò il decreto di pronuncia di compatibilità ambientale Via/Aia congiunto per la Raffineria di Taranto per l’“Adeguamento stoccaggio del greggio proveniente dal giacimento Tempa Rossa”, per il cui progetto l’Eni ha stanziato 300 milioni di euro. E sempre nel corso del 2011, sono arrivati i vari ok al progetto da parte del Comune e della Provincia di Taranto, oltre che della Regione Puglia del governatore “ecologista” Nichi Vendola.

Alle origini di Tempa Rossa

Ma cos’è in realtà “Tempa Rossa”? E’ un giacimento petrolifero dell’alta valle del Sauro situato nel cuore della Basilicata, che ricade in gran parte sul territorio del Comune di Corleto Perticara (PZ), a 4 km dal quale verrà costruito il futuro centro di trattamento. I cinque pozzi già perforati si trovano sul territorio del paesino lucano, mentre il sesto, i cui lavori di perforazione sono in corso, si trova nel Comune di Gorgoglione. Altri due pozzi saranno perforati nel corso di quest’anno sempre in agro Corleto Perticara. L’area dove verrà realizzato il centro di stoccaggio GPL si trova invece nel Comune di Guardia Perticara. Il giacimento Tempa Rossa, che fu scoperto nel 1989 dalla Fina (società belga poi assorbita dalla Total che a sua volta nel 2002 ottenne dall’Eni la cessione della partecipazione del 25%, detenuta da Eni, della concessione Gorgoglione dove è ubicato il giacimento di Tempa Rossa), possiede una “speciale” particolarità: non solo per la natura degli idrocarburi presenti nel sottosuolo (oli pesanti da 10 a 22 API e presenza di zolfo) ma anche e soprattutto per il suo contesto ambientale: esso infatti si trova tra il parco regionale di Gallipoli Cognato e il parco nazionale del Pollino, proprio nel cuore della Basilicata. Ma ciò che interessa davvero è quello che si trova nelle viscere. Nel sottosuolo è infatti custodito uno dei principali giacimenti petroliferi europei su terraferma: allo stato attuale il 78,5% della produzione italiana di greggio su terra proviene dalla Basilicata. Quando l’impianto lavorerà a pieno regime, avrà una capacità produttiva giornaliera di circa 50.000 barili di petrolio, 250.000 m³ di gas naturale, 267 tonnellate di GPL e 60 tonnellate di zolfo. Il gas sarà convogliato alla rete locale di distribuzione SNAM, mentre il petrolio sarà trasportato tramite una condotta interrata fino all’oleodotto “Viggiano-Taranto”, che come detto ha come terminale d’esportazione la raffineria Eni del capoluogo ionico. Non è un caso, dunque, se lo sviluppo del progetto “Tempa Rossa” veda interessati due tra i più grandi gruppi petroliferi mondiali. Al fianco di TOTAL E&P Italia, operatore incaricato dello sviluppo del progetto, figurano infatti anche la Shell (25%) e la Exxon Mobil (25%) tra le compagnie americane di petrolio più importanti al mondo. Tre delle “sette sorelle” combattute invano proprio da Mattei nella metà del secolo scorso.

Tra fanghi e ricatti

Tutto bene, dunque? Non proprio. Perché il 15 aprile 2011, 19 anni dopo l’inizio delle perforazioni esplorative effettuate dalla Total Mineraria Spa ed il successivo abbandono dei fanghi petroliferi per la mancanza di una discarica che potesse raccoglierli, la Regione Basilicata riceve la notifica ufficiale del sito in questione, indicato come “situazione a rischio”. Sulla vicenda Total ed Eni hanno iniziato il solito scarica barile, in quanto il terreno ora in concessione alla Total, all’epoca era di proprietà dell’Eni, per cui la Total Mineraria Spa tra l’altro lavorava. Ma ciò che più preoccupa in questo momento l’Arpab, è cosa sia successo nei terreni in cui sono stati abbandonati i fanghi, specie per quanto concerne l’inquinamento delle acque di falda e la regimazione di quelle di pioggia. Inoltre, al momento è in corso un’inchiesta, avviata dal PM Henry John Woodcock prima del suo trasferimento a Napoli, il quale inquisì “i vertici della Total per presunti accordi corruttivi con ditte lucane interessate ai lavori di realizzazione delle infrastrutture legate al giacimento Tempa Rossa, il secondo più grande dopo quello dell’Eni”. Inchiesta che vede come parti lese i pochi agricoltori che si opposero all’esproprio dei terreni, che avvenne su cifre imposte dalla compagnia petrolifera e ritenute dagli agricoltori e dagli stessi inquirenti a dir poco ridicole: si parla infatti di somme di dieci volte inferiori al reale valore di mercato.

Tempa Rossa e affari neri

Ma mentre in Basilicata la Total continua a perforare il terreno in uno dei luoghi naturali più affascinati della regione lucana, a Taranto l’Eni continua ad allungare la sua ombra sia all’interno che all’esterno della raffineria. I 300 milioni di euro stanziati, serviranno infatti per la costruzione di due enormi serbatoi (oltre ai tanti già presenti che si affacciano su Mar Grande) per stoccare i 180mila metri cubi di greggio che arriveranno dalla Basilicata e l’ampliamento del pontile della raffineria per ospitare dalle 45 alle 140 petroliere l’anno. E proprio l’aumento delle navi nella rada di Mar Grande è uno dei punti meno chiari del progetto, visto che nello Studio d’Impatto Ambientale manca l’analisi di rischio di incidente rilevante, di fondamentale importanza in questi casi. Il progetto dell’Eni, inoltre, produrrà un 12% in più di emissioni diffuse, che si distinguono dalle altre per il fatto che si disperdono in atmosfera senza l’ausilio di un sistema di convogliamento delle stesse dall’interno verso l’esterno. Emissioni diffuse che rientrano nella normativa sull’inquinamento prodotto dagli impianti industriali, emanata con D.P.R. 24 maggio 1998 n° 203, che all’art.2, comma 4 recita testualmente: “Emissione, ovvero qualsiasi sostanza solida, liquida o gassosa introdotta nell’atmosfera, proveniente da un impianto, che possa produrre inquinamento atmosferico”. Dato (12% in più) confermato dai tecnici di Arpa Puglia che l’Eni non smentisce, anche se nel SIA (Studio d’Impatto Ambientale) presentato la percentuale scende all’8%. A tutto questo le nostre istituzioni, accompagnate a braccetto dai sindacati confederali e da Confindustria, hanno conferito la loro sentenza definitiva di “compatibilità ambientale” e di “pubblica utilità”. Si è parlato di occasione unica per l’economia del territorio e di imprecisati posti di lavoro in più. Ma al bando emesso dall’Eni per l’aggiudicazione dei lavori per il progetto “Tempa Rossa”, scaduto lo scorso anno, potevano partecipare solo aziende con un profitto annuale minimo di 250 milioni di euro. E aziende tarantine di questo calibro, non ce ne sono. Anche se, a pensarci bene, rileggendo il profitto annuale minimo richiesto collegato al fatto che “il pontile e tutte le strutture accessorie saranno realizzate interamente in acciaio”, a noi il nome di un’azienda ci è venuto in mente eccome (l’Ilva della famiglia Riva che si trova a pochi metri dalla raffineria). D’altro canto, Confindustria, sindacati e istituzioni, non potrebbero mai e poi mai dire che anche per il progetto “Tempa Rossa”, Taranto e le aziende locali dovranno accontentarsi ancora una volta delle briciole: che da queste parti sanno tanto di subappalti e lavoro in nero. Oltre che di nuovo inquinamento.

Tutto questo è “compatibile” con l’ambiente e di  “pubblica utilità”?

Ciò detto, dunque, ci chiediamo come sia possibile giudicare un progetto del genere “compatibile con l’ambiente” e soprattutto di “pubblica utilità”. E’ compatibile con l’aria di Taranto l’aumento del 12% delle emissioni diffuse? E’ compatibile con l’ecosistema di Mar Grande l’aumento annuale di enormi petroliere? E’ compatibile con la vita dei cittadini il sicuro aumento della dispersione delle emissioni odorigene che già oggi avviene sistematicamente quando sono in corso operazioni di caricamento di greggio dalla Raffineria ENI su nave? E’ compatibile con l’ambiente lucano la perforazione di otto pozzi petroliferi nel cuore di uno degli scenari naturali più belli che abbiamo in Italia? E’ di pubblica utilità un progetto che farà aumentare solamente il bilancio delle multinazionali del petrolio come Total, Shell, Exxon Mobil, Eni? E’ di pubblica utilità un progetto che per la costruzione di tutte le sue opere affiderà i lavori ad aziende in grado di supportare quanto scritto sopra e lasceranno solo le briciole alle aziende presenti sul territorio lucano e ionico? Vorremmo che qualcuno rispondesse alle nostre domande: non importa chi, l’importante è che qualcuno risponda. Il problema è che, ancora una volta, otterremo in cambio solo un assordante silenzio.

Gianmario Leone (da “Il Manifesto” del 27 aprile 2012)

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