Nel provvedimento i magistrati affermano quanto segue: «Le misure sono ulteriori rispetto alle previsioni contenute nell’autorizzazione integrata ambientale del 4/8/2011 e non appaiono finalizzate a fronteggiare nell’immediato un’emergenza sanitaria, bensì a prevenire danni derivanti dall’esercizio dello stabilimento in violazione delle norme vigenti e di quelle di futura applicazione contenute nella Direttiva 2010/75/UE», ed aggiungono: «A tanto è preordinato il riesame dell’AIA del 4/8/2011, disposto dal Direttore Generale per le Valutazioni Ambientali del Ministero dell’Ambiente con decreto del 15/3/2012 (al proposito, occorre evidenziare che l’art. 21, par. 5, della Direttiva 2010/75/UE prevede il riesame delle condizioni di autorizzazione e che a tale norma deve essere conformato l’ordinamento italiano entro il 7/1/2013, in base all’art. 80, par. 1, della stessa Direttiva)».
Segue, poi, un altro passaggio importante: «Non sussistono le condizioni per l’esercizio da parte del Sindaco del potere di ordinanza contingibile ed urgente e che a questa conclusione sembra, peraltro, essere giunto lo stesso Sindaco di Taranto, che in data 7/2/2012 (cioè dopo aver ricevuto il 2/2/2012 la perizia inviata dal Procuratore della Repubblica) ha richiesto al Ministero che “in sede di successiva rivalutazione dell’AIA, si preveda l’inserimento dei nuovi adempimenti previsti dall’emanando decreto di recepimento della direttiva comunitaria 2010/75”».
Nell’atto di costituzione del Comune di Taranto, affidato all’avvocato Massimo Moretti e depositato lo scorso 7 aprile, si affermava che l’ordinanza del sindaco era adeguatamente motivata in merito all’allarme sanitario scaturito dall’acquisizione da parte del Comune della relazione tecnica prodotta dai periti nominati dal gip Patrizia Todisco nell’ambito dell’inchiesta sull’inquinamento Ilva.
Inoltre, si faceva riferimento alla relazione del Noe che fa emergere un quadro molto preoccupante in merito alle emissioni in atmosfera riconducibili allo “slopping”, ad un improprio utilizzo delle torce presenti nelle acciaierie, e alle emissioni convogliate e diffuse. Si sottolineava, inoltre, che i controlli effettuati dal Noe sono tra i pochi (se non gli unici) ad essere stati effettuati senza alcun preavviso all’azienda. Pertanto, molto più credibili di altri controlli che invece vengono concordati.
Nell’atto di costituzione veniva contestata la tesi dell’Ilva secondo la quale a Taranto non vi sarebbe alcuna emergenza sanitaria e ambientale. L’avvocato Moretti citava i risultati della perizia chimica e di quella epidemiologica che raffigurano una situazione decisamente inquietante, senza dimenticare il rapporto di Arpa Puglia riguardante il monitoraggio diagnostico del benzo(a)pirene dal quale si evince lo sforamento dei limiti di emissione direttamente riferibile all’attività del siderurgico.
Di diverso avviso, ovviamente l’azienda, che considera le due perizie errate e fuorvianti. Su quella medica i legali dell’azienda hanno dichiarato che l’emergenza sanitaria e ambientale viene ricondotta alle emissioni di PM10 attribuendole per intero all’Ilva senza tenere conto delle altre realtà industriali, dalla Raffineria Eni alla Cementir passando per gli inceneritori. Riguardo alla perizia chimica, gli avvocati affermano che fa riferimento ad una direttiva europea (2010/75/UE) non ancora adottata dall’Italia (il termine scadrebbe il 13 gennaio 2013). In merito al rispetto della nuova generazione di Bat, si dichiara che l’Ilva non è tenuta ad attenersi poiché tale obbligo scatterà al rinnovo dell’attuale Autorizzazione Integrata Ambientale.
E ora tutto viene rimandato a luglio come se la città di Taranto non avesse alcuna urgenza.
Alessandra Congedo
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