Dopo aver fatto questa premessa doverosa, è bene dire che l’Ilva ha presentato un documento in cui si contesta praticamente punto per punto la perizia degli esperti epidemiologi nominati dalla Procura: come tra l’altro sin troppo prevedibile. Ad esempio, si contestano sia gli effetti a lungo termine nella popolazione generale, sia gli effetti a lungo termine riferiti ai lavoratori: i primi perché “sarebbero comunque da attribuire a esposizioni nel lontano passato, e di conseguenza alla proprietà precedente (fino al 28 aprile 1995)” ed i secondi perché “riguardano soggetti con pregresso impiego in siderurgia nel 1974-97, e quindi – se reali – vanno in larga parte attribuiti alla proprietà precedente”. Dunque, seguendo l’esempio delle nostre istituzioni, l’Ilva sposta il problema delle responsabilità sull’Italsider di proprietà dello Stato sino alla vendita al privato Riva. Come se l’inquinamento nocivo per la popolazione e gli operai, fosse soltanto quello prodotto sino al 1995, dimenticando, evidentemente, di aver detenuto anni addietro anche l’infelice record di industria responsabile del 92% delle emissioni di diossina in Italia e dell’8,8% in Europa, tanto per dirne una in merito ai dati di anni passati.
Inoltre, come del resto era preventivabile, l’Ilva sottolinea quelli che nella perizia sono i limiti delle indagini effettuate, tra l’altro segnalati dagli stessi esperti epidemiologi: “La popolazione studiata è relativamente piccola e il numero di eventi osservati è relativamente poco numeroso. Questo comporta una forte incertezza nelle stime (pag.174, pag .212). La popolazione oggetto di indagine è di piccole dimensioni e le stime hanno ampi intervalli di confidenza (pag. 213)”. E qui, al di là degli effettivi 8 mesi che hanno avuto a disposizione gli esperti incaricati dal GIP Todisco, torna d’attualità quanto scrivemmo l’indomani l’assegnazione dell’incarico nel giugno del 2011: ovvero il fatto che questi esperti di fama internazionale, si sono trovati di fronte a dati “limitati” per colpa di responsabilità politiche di decenni di complicità con la grande industria. Lo abbiamo scritto e denunciato più volte in questi anni: quanto fatto dalla Procura di Taranto, andava fatto molto tempo prima da chi aveva il dovere di controllare, prevenire, indagare, tutelare la salute dell’intera popolazione, operai in primis. Connivenza che è durata sino al giorno della deposizione della prima perizia, quella degli esperti chimici, lo scorso febbraio: prima di allora, le lodi nei confronti dell’azienda Ilva sulla sua continua ambientalizzazione degli impianti, tanto da essere presentata come modello a livello europeo, avvenivano ogni giorno senza timore di essere smentiti. Ecco perché tutto quello che vien fatto oggi, a qualunque livello e proposto da chiunque, ha un deficit di credibilità pressoché totale.
Ciò detto, non vogliamo assolutamente sostituirci agli esperti in campo ed alla magistratura: venerdì, durante l’ultima parte dell’incidente probatorio, toccherà a loro battagliare in aula e decidere come proseguire l’inchiesta per disastro ambientale nei confronti dell’Ilva. Ma un qualcosa in più, possiamo dirla anche noi. Perché l’Ilva ed i suoi esperti, attaccano anche sul PM 10: “Le stime sulla mortalità a breve termine (Capitolo 4) sono quelle rilevanti per le esposizioni attuali, ma sono anch’esse basate su assunzioni e modelli criticabili e, soprattutto, riferiti a valori scelti in maniera del tutto arbitraria, non corrispondenti alla normativa vigente. La distorsione dei risultati ottenuti si deve alla scelta arbitraria di aver utilizzato per il PM10 la soglia di 20 itig/m3. Se infatti, anziché la soglia di 20 i.tg/m3, proposta come linea guida dall’OMS, fosse stato utilizzato il limite di legge di 40 1.tg/m3fissato dall’Unione Europea (e recepito in Italia con Decr. Legisl. n. 155 del 13.8.2010) l’eccesso di decessi a Taranto sarebbe pari a zero, – non invece 83 come riportato a pagina 167. Il limite europeo ora in vigore di 40 pg/m3 è peraltro utilizzato anche nel menzionato articolo di Baccini, Biggeri et al. (2011)”.
Inoltre, nella sintesi presentata dall’Ilva, si legge come “la Commissione Europea attua attraverso l’analisi di rischio sanitaria quantitativa, come suggerito da WHO (WHO, 2006), una revisione dei limiti di qualità dell’aria riferiti a vari indicatori tra cui il PM10. Il lavoro della Commissione si sostanzia nella Direttiva 2008/50/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 21 Maggio 2008 relativa alla qualità dell’aria ambiente e per un’aria più pulita in Europa. Tale Direttiva nelle premesse riporta quanto segue: ai fini della tutela della salute umana e dell’ambiente nel suo complesso, è particolarmente importante combattere alla fonte l’emissione di inquinanti nonché individuare e attuare le più efficaci misure di riduzione delle emissioni a livello locale, nazionale e comunitario. È opportuno pertanto evitare, prevenire o ridurre le emissioni di inquinanti atmosferici nocivi e definire adeguati obiettivi per la qualità dell’aria ambiente che tengano conto delle pertinenti norme, orientamenti e programmi dell’organizzazione mondiale della sanità. Dando seguito a quanto riportato sopra, la Commissione Europea definisce all’art. 2 della citata Direttiva: «valore limite»: livello fissato in base alle conoscenze scientifiche al fine di evitare, prevenire o ridurre gli effetti nocivi per la salute umana e/o per l’ambiente nel suo complesso, che deve essere raggiunto entro un termine prestabilito e in seguito non deve essere superato”.
Bene. Ma evidentemente l’Ilva non sa che la “Società europea di medicina respiratoria”, nei primi giorni di marzo, ha pubblicato un documento che potrebbe stravolgere nuovamente le discipline in materia ambientale. Il testo di questo documento è stato pubblicato sulla rivista ‘European Respiratory Journal’, e strano a dirsi, vede come primi destinatari, i legislatori della Unione europea, chiedendo loro di tener conto di questo documento, quando si dovrà mettere mano alla nuova Direttiva europea che fissa i limiti degli inquinanti nell’aria. I punti del documento sono dieci, ed è firmato dai più noti epidemiologi ambientali, fra cui Bert Brunekreef dell’Università di Utrecht e, guarda un po’, dal “nostro” Francesco Forastiere del Servizio sanitario del Lazio. Gli specialisti scrivono testualmente che “la direttiva europea che fissa attualmente i limiti di legge degli inquinanti (la 2008/50) non tutela in realtà la salute”, ma è un compromesso tra il voler “contenere” il danno sanitario e gli obiettivi realistici di tipo politico e tecnologico che si possono a tutt’oggi ottenere. Basti dire che “il limite (che vale anche per la legge italiana) di 25 microgrammi /metro cubo per le polveri più sottili (2,5 micron) non è sufficiente a proteggere da rischi di tumori e infarti. Le linee guida dell’OMS, peraltro, sono di due volte e mezzo più restrittive, e anche la legislazione statunitense è più cautelativa.
I limiti dettati dalle leggi nazionali antismog ingenerano nella popolazione un falso senso di sicurezza. Non si creda che rispettando questi non si abbiano conseguenze sulla salute. Purtroppo i limiti di sicurezza per il particolato, l’ozono, gli idrocarburi incombusti, gli ossidi di azoto, sono molto bassi. Ben lontani, ancora da quelli che quotidianamente respiriamo, e che attualmente sono responsabili di 625 milioni di giorni di malattia all’anno nel vecchio continente”. Oltre l’Ilva, anche i nostri politici e i sindacati ignorano ciò: queste poche righe infatti, demoliscono per sempre la favola della “eco-compatibilità”, così come l’altra favoletta secondo cui, rispettando i famosi “valori limite” delle emissioni inquinanti, non ci sarebbero più rischi per l’ambiente e la salute (come per anni ha teorizzato la maggioranza del movimento ambientalista tarantino che stranamente nel breve volgere del tempo dichiara di aver cambiato idea o, in maniera più semplice, preferisce dimenticare di aver teorizzato certe idee e pratiche, vista la campagna elettorale in atto che li vede protagonisti).
Altro che eco-compatibilità, valori limite, nemmeno un grammo in più di inquinamento, migliori tecnologie (BAT), migliori tecnologie in assoluto (BREF), leggi anti-diossina, leggi sul benzo(a)pirene, limiti di Pcb, bonifiche e quant’altro: anche l’Europa ha capito che l’unico sistema per salvarsi, è quello di ripensare l’intero sistema economico, seguendo la strada della riqualificazione e della diversificazione economica, che dovrà inevitabilmente poggiare solo sulle risorse naturali di ogni singolo territorio. Ma siamo consci del fatto che, ancora una volta, stiamo parlando in arabo: perché a queste conclusioni, visto l’andazzo che tira, forse ci arriveremo tra 50 anni. Forse.
Gianmario Leone
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