EFETTI A BREVE TERMINE SULLA SALUTE – Nelle osservazioni si legge: «Per ciò che concerne gli effetti a breve termine – gli unici rilevanti nel procedimento in questione – le conclusioni che “l’esposizione agli inquinanti dell’atmosfera emessi dall’impianto siderurgico ha causato e causa nella popolazione eventi di malattie e di morte” sono basate su una singola soglia (20 µg/m3) definita come valore-obiettivo dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, ma non attualmente in vigore nell’Unione Europea. Se si fosse utilizzato il limite UE ora in vigore di 40 µg/m3 e recepito con decreto legislativo n. 155 del 13 agosto 2010, l’eccesso stimato di patologie e decessi a Taranto per gli effetti a breve termine sarebbe stato tendenzialmente nullo”.
EFFETTI A LUNGO TERMINE – Secondo gli esperti scelti dall’Ilva questi effetti “nella popolazione generale non sono coerenti in maschi e femmine, e quindi ragionevolmente non sono ascrivibili al solo inquinamento industriale ma, piuttosto, al ruolo residuo di differenze socio-economiche”. Una costante di queste osservazioni consiste nello scaricare le responsabilità dell’inquinamento sulla vecchia gestione statale. Ecco, infatti , cosa si legge subito dopo: “In ogni caso, se esistenti, detti effetti sarebbero comunque da attribuire ad esposizioni nel lontano passato, e di conseguenza della proprietà precedente (fino al 28 aprile 1995). Questi risultati non sono quindi rilevanti nel procedimento in esame”.
EFFETTI A LUNGO TERMINE SUI LAVORATORI – Gli esperti incaricati dal gruppo Riva affermano che gli effetti al lungo termine riferiti ai lavoratori “riguardano soggetti con pregresso impiego in siderurgia nel 1974-97, e quindi – se reali – vanno in larga parte attribuiti alla proprietà precedente. Anche questi non sono quindi rilevanti nel procedimento in esame”.
SALUTE DEI LAVORATORI – A pag. 12 è scritto che dai dati presenti nel capitolo 5 della perizia epidemiologica, non è possibile trarre alcuna valutazione sullo stato di salute dei lavoratori Ilva: “I dati di monitoraggio ambientale e biologico indicano, invece, che l’esposizione dei lavoratori a sostanze chimiche è controllata e al di sotto dei livelli considerati accettabili per l’ambiente di lavoro e, quindi, a dimostrazione dell’esistenza in Ilva di buone pratiche di igiene industriale e tutela della salute. Di conseguenza le valutazioni dei periti sono infondate”.
PM10 – Nelle osservazioni si dice: “le concentrazioni di PM10 a Taranto, anche nelle centraline con valori più elevati, sono considerevolmente più basse che in molte altre aree urbane italiane, e in particolare nella Valle Padana”.
TUMORI – E’ questo uno dei passaggi più eclatanti: “La stima dell’1,1% di eccesso di mortalità a lungo termine nel complesso della popolazione attribuibile a PM 10 di origine industriale è basata su un insieme di dati incoerenti nei due sessi, oltre che per cause. Non vi è infatti nessun eccesso di tumori e, in particolare, di tumore del polmone, il principale organo bersaglio di inquinanti ambientali”.
Come anticipato, il filo conduttore di queste osservazioni consiste nel tenere fuori dalle responsabilità l’attuale gestione Ilva: “In ogni caso – è scritto a pagina 6 – gli effetti a lungo termine riflettono esposizioni del lontano passato”. Questa è soltanto una breve sintesi del documento messo a punto dagli esperti dell’Ilva. Un documento che la dice lunga su come il gruppo Riva intende basare la sua battaglia legale. E’ facile prevedere che l’udienza in programma domani al Tribunale di Taranto non sarà una passeggiata. Per nessuno. A confrontarsi saranno due visioni agli antipodi: da una parte l’inferno descritto dai periti incaricati dal gip Todisco, dall’altra lo scenario da mulino bianco proposto dagli esperti chiamati dall’azienda.
Alessandra Congedo
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