E’ bastata questa ipotesi, che poi negli ultimi giorni è diventata certezza, per far sì che si mettesse in moto la classica giostra idiota dei nostri tempi: una sequele infinita di dichiarazioni inutili e di ipotesi campate in aria, su eventuali ed incomprensibili scontri di piazza che potrebbero avvenire tra i partecipanti delle due manifestazioni. E il sentore è che in realtà, in molti, si augurano che accada proprio quello che non deve accadere. Perché da giorni, sulla stampa e le tv locali, non si fa altro che parlare di possibili tensioni tra chi “vuole chiudere l’Ilva” e chi “vuole salvare il proprio posto di lavoro”. Il gioco politico messo in piedi negli ultimi anni dalle nostre istituzioni, dai sindacati, dall’azienda e dal movimento ambientalista, è in pratica giunto al classico punto di non ritorno. Perché è chiaro che, qualora venerdì dovesse verificarsi l’irreparabile, la situazione verrebbe presa in mano dal “sistema”, con l’impossibilità di iniziare quel percorso comune di condivisione di valori e ideali sul futuro di questa città, che ancora oggi non è iniziato per le responsabilità dei su citati.
La totale mancanza di dialogo da un lato, e la perdurante minaccia sottile e continuata del ricatto occupazione mossa dall’azienda nei confronti degli operai dall’altro, ha creato una miscela esplosiva azionata a fuoco lento da una politica lassista che, dopo anni e anni di inattività sul fronte ambientale, ha costretto la magistratura a scendere nuovamente in campo. Lo abbiamo ripetuto più volte: quando scendono in campo i giudici, la sconfitta è di tutti. Nessuno escluso. Né si può più tornare indietro, come invece stanno tentando disperatamente di fare le nostre istituzioni, nella speranza che una serie di “pezze a colori” possano lavare le colpe e le responsabilità di chi è stato troppo compiacente per anni, di chi doveva intervenire e prevenire ed invece ha scelto di affidarsi al corso degli eventi nella speranza che tutto finisse a “tarallucci e vino”. Idea contraria all’azione della Procura di Taranto, che ha scelto una strada chiara e sin qui irreprensibile, affidandosi ad una serie di esperti di livello mondiale per fare luce sui tanti, troppi “misteri” intorno all’Ilva di Taranto. La cui dirigenza, la famiglia Riva, ha capito che era giunto il momento di tornare a fare sul serio, mostrando il volto gentile segnato dal sorriso beffardo del potere e di chi crede di essere invincibile in un mondo in cui regna un sistema economico basato sul profitto, loro che di profitti se ne intendono eccome.
Tutto questo è stato infine miscelato e condensato in quel mondo alienante, virtuale e parallelo alla realtà chiamato Facebook: un social network amatissimo da politici, giornalisti, sindacalisti ed ambientalisti, nella cui esistenza, appunto, mancava un gruppo dal nome “Taranto e Ilva insieme”, creato ad hoc per dare il là allo scontro finale tra le varie fazioni. E siccome questa è una città in cui le “teste pensanti” sono davvero tante, inevitabile è scoppiata la gazzarra: un bel tutti contro tutti fatto di rivendicazioni, insulti, minacce, promesse di battaglia o di vendetta, disquisizioni su ambiente, lavoro, economica, politica e chi più ne ha più ne metta. Tutti in attesa del fatidico venerdì 30, il giorno della “verità”.
Fondamentalmente, forse ve ne siete accorti, stiamo parlando del nulla. Quel nulla in cui da sempre sguazzano in tanti, troppi, nella nostra città. Qui non esistono categorie, ruoli, divise o eserciti contrapposti: qui siamo tutti cittadini della stessa città. Né è vero che ci sono idee o volontà diverse: chi difende il proprio lavoro, difende i suo futuro, non l’Ilva perché amante del mostro d’acciaio. Solo un percorso comune e condiviso, basato su una comunicazione reale e non virtuale, solo attraverso il confronto costante di idee, si potrà iniziare ad immaginare e costruire un futuro diverso per questa città. Che passa inevitabilmente per la valorizzazione dei suoi cittadini prima ancora che delle sue risorse naturali. Perché Taranto è una città da bonificare nel suo Dna, prima ancora che nelle sue viscere terresti o marine che siano. Perché, da sempre, abbiamo lasciato che fossero gli altri a decidere per noi. Ed ancora oggi, ci stiamo lasciando condizionare da una classe politica inetta, da una grande industria arrogante e autoritaria che ha trovato nei sindacati un alleato forte ed insperato, da una borghesia assente e presuntuosa, da una classe intellettuale che ha preferito spesso emigrare o tacere invece che dare un indirizzo o modelli da seguire, da una società civile esacerbata da anni di invidie, gelosie e dispetti, che ha finito per dividersi sul nulla in tantissimi segmenti che da soli non serviranno mai a niente.
Ecco, dovremmo liberarci da tutto questo per credere davvero in un futuro migliore. Diverso. E per farlo, venerdì prossimo, invece di andare sotto al Comune a manifestare come chiesto dal sindaco Stefàno, basterebbe schierarsi tutti dalla stessa parte: non ci sarebbe nulla di più naturale che migliaia di cittadini della stessa città scegliessero, per la prima volta, di decidere loro del proprio destino e del proprio futuro, unendosi in un unico abbraccio sincero e vero. Eliminando le tante scorie che, inevitabilmente, anche il 30 tenteranno di recitare il ruolo di protagonisti che nessuno ha mai conferito loro. Solo così potrà avvenire quel cambiamento sognato da tutti, ma osteggiato da tanti. Da sempre. Sarebbe una mossa spiazzante, rivoluzionaria. Pensateci.
Gianmario Leone
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