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Emergenza mitili, il tempo stringe

TARANTO – Qualcosa ci dice che il mese di marzo rischia di diventare un viatico fondamentale per il prossimo futuro della nostra città. Perché se è vero che nell’udienza dell’ultima parte dell’incidente probatorio del prossimo 30 marzo sarà discussa in camera di consiglio, presso la Procura di Taranto, la perizia degli epidemiologi nominati dal Gip Patrizia Todisco nell’ambito dell’inchiesta avviata nei confronti dell’Ilva per disastro ambientale, è altrettanto drammaticamente vero che il giorno dopo, ovvero il 31, scadrà il termine ultimo per spostare il novellame dell’annata 2012 dal 1° seno del Mar Piccolo nelle aree individuate in Mar Grande. Scaduto questo termine, infatti, non ci sarà più niente da fare: i mitilicoltori tarantini perderanno anche la produzione di quest’anno, con un danno economico che si supera i due milioni di euro.

Proprio per scongiurare tale pericolo, si è svolta presso la Camera di Commercio una conferenza stampa convocata dal vice presidente della Camera di commercio, Leonardo Giangrande. Il quale ha voluto sottolineare e ricordare l’attività svolta dall’ente camerale a favore dei mitilicoltori danneggiati gravemente dal fermo della produzione, ripercorrendo la cronistoria degli eventi dall’8 settembre 2011 fino al 15 marzo, “arco di tempo nel quale si sono svolti incontri operativi ed un grande lavoro tra scadenze, richieste di documentazioni, lavoro di sintesi e di raccordo, coinvolgimento di istituzioni e passaggio di carte e responsabilità”. Anche perché, ora come ora, gli Enti coinvolti nelle procedure autorizzative, non hanno ancora disposto il previsto trasferimento degli impianti a Mar Grande. “Siamo arrivati ad un punto di non ritorno – ha sottolineato Giangrande – siamo qui ed abbiamo lavorato per aiutare i militilicoltori come mai prima d’ora era successo in Camera di commercio: e vogliamo evitare assolutamente un effetto domino che sarà devastante per il comparto. E’ un appello forte rivolto agli enti interessati, di farsi carico delle responsabilità e di svolgere il proprio compito istituzionale”.

A conti fatti, dunque, mancano appena 10 giorni. Eppure, quando lo scorso 13 gennaio si svolse l’ultima riunione del tavolo tecnico, sembrava essere finalmente giunti ad un punto di svolta. In quella data infatti, la Marina Militare dette il via libera per l’utilizzazione di alcune aree di Mar Grande: 480.000 metri quadrati a fronte dei 700/800.000 individuati in un primo momento dal Centro Ittico Tarantino. Il perché di quella scelta, va individuato nel fatto che in quello specchio di Mar Grande, si trovano due boe della Marina Militare, più una più centrale utilizzata dall’Autorità Portuale, che servono per far attraccare le navi mercantili o militari che non trovano posto al Porto o nella base navale di Chiapparo. Dunque, la richiesta del Comune di Taranto ai vertici della Marina Militare, di concedere la disponibilità di tutta l’area in via temporanea, vista l’emergenza in corso, è stata rispedita al mittente. Perché nelle aree concesse, non ci sarà spazio per tutti i mitilicoltori (sia quelli in possesso di licenza che per quelli che ne sono sprovvisti) del 1° seno del Mar Piccolo.

Inoltre va anche ricordato come nello scorso autunno venne messo in preventivo un periodo di sperimentazione della durata di sei mesi, per testare la zona e la reale possibilità di attecchimento del seme in Mar Grande: perché in molti, per non dire tutti, sanno che il mitile prodotto nel 1° seno del Mar Piccolo ha una sua specificità che quasi certamente rischia di perdere una volta spostato nelle acque di Mar Grande. Inoltre, nessuno parla del fatto che, qualora la classificazione della acque di Mar Grande dia esito negativo, il problema tornerebbe al punto di partenza in maniera ancora più grave. Per non parlare del fatto che per lavorare in Mar Grande, i mitilicoltori dovranno dotarsi di impianti molto costosi: ecco perché molti avrebbero preferito spostarsi nel 2° seno del Mar Piccolo, più salubre da inquinamento da Pcb.

Ciò detto, siamo comunque di fronte a periodi lunghi, anche troppo per i mitilicoltori: perché ammesso e non concesso che arrivi l’autorizzazione, la commercializzazione del prodotto potrà avvenire soltanto a settembre. Mentre tutti sanno che la cozza viene venduta soprattutto d’estate. Lo spostamento, visti anche i tempi naturali richiesti dal seme, sarebbe dovuto avvenire molto tempo prima: ad esempio a partire dallo scorso ottobre. Ma una serie di “opposizioni” di natura burocratica hanno fatto sì che si arrivasse ai giorni nostri senza ancora nulla di certo e definito.

Anche perché dopo la concessione delle aree in Mar Grande da parte della Marina Militare e l’ok da parte della Regione a sistemare gli allevamenti a 350 metri dagli scarichi dell’Acquedotto Pugliese (la legge prevede che la distanza non sia inferiore ai 500), sono stati chiesti nuovi pareri, alcuni dei quali apparsi più pretestuosi che altro come ad esempio le problematiche legate al moto ondoso e alla direzione dei venti, che hanno ritardato ancora l’arrivo dell’ok definitivo da parte dei tanti enti protagonisti in questa annosa vicenda. Sarà anche e soprattutto per questo motivo se l’Amministrazione comunale (ma in questo caso anche il Prefetto dovrebbe intervenire quanto prima) non ha ancora firmato l’ordinanza con la quale autorizzare lo spostamento del novellame? Chissà. Per non parlare del fatto che si è ancora in attesa del milione e duecentomila euro stanziati dalla Regione attraverso i fondi FEP, a cui però potranno accedere soltanto i mitilicoltori dotati di licenza.

Inoltre, tanto per aggiungere un altro po’ di pepe all’intera vicenda, il 9 marzo i tecnici della Asl sono tornati a prelevare campioni da alcuni allevaementi, per proseguire con il monitoraggio del 1° e 2° seno, dopo uno stop di circa tre mesi. Fino a dicembre i risultati erano stati conformi, ma in molti tremano. E a ragion veduta, visto che dal 1 gennaio 2012 sono entrati in vigore i nuovi limiti per la presenza di Pcb: da 8 picogrammi si è passati ad un limite massimo di 6,5. La variazione è avvenuta in base al Regolamento (CE) N. 1881/2006 della Commissione del 19 dicembre 2006 che definisce i tenori massimi di alcuni contaminanti nei prodotti alimentari.

Intanto, ancora una volta, gli inquinatori continuano a farla franca e, paradosso dei paradossi, a mettersi di traverso anche solo per dare al problema una vita d’uscita, seppur provvisoria. Ma il tempo è tiranno. Continuare a tirare la corda giocando con la vita delle persone, può rivelarsi un disastroso boomerang. Per tutti.

Gianmario Leone

g.leone@tarantooggi

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