Le parole che non ti ho detto – Ilva, al di là dei proclami resta la dura realtà
TARANTO – Dopo il “super” vertice svolto a Bari mercoledì tra il ministro dell’ambiente Clini, il governatore Vendola, il sindaco Stefàno e il presidente della Provincia Florido; dopo i flash, le interviste, le tante dichiarazioni roboanti, le strette di mano, le pacche sulle spalle, le promesse, le intenzioni future, le larghe intese; dopo la pseudo manifestazione di un centinaio di operai Ilva, mandati a Bari “chissà da chi” con tanto di striscione griffato con il logo dell’azienda, dopo le proteste e le rivendicazioni; dopo tutto questo grande circo mediatico, alla fine dei conti, come sempre, resta Taranto e la sua dura realtà cullata da suoi Due Mari, da oltre un millennio di storia, con la consapevolezza che, ancora una volta, in tanti continueranno a giocare con la storia ed il suo destino, azzannando come lupi famelici il suo futuro in questa campagna elettorale che dietro di sé lascerà moltissime “vittime”, le quali ancora non hanno capito o continuano a non capire come stanno veramente le cose.
Sì, perché come sempre, siamo costretti per l’ennesima volta a sottolineare, a mettere il dito nella piaga dei comportamenti di una classe dirigente che continua a restare distante anni luce dalla realtà. E dalla verità. Ad esempio, nessuno ha notato e sottolineato l’assenza al vertice di Bari, del sindaco di Statte, Angelo Miccoli. Comune che rientra nel SIN (Sito di Interesse Nazionale) di Taranto e che quindi sarà interessato in una eventuale e futuristica bonifica del nostro territorio, che lo stesso Vendola non ha esitato a definire un’opera ciclopica, la più grande mai sostenuta in Europa. Come mai il Sindaco di Statte non era presente? Non è stato invitato o non si è presentato di sua sponte? In attesa di chiarire questo piccolo mistero, sottolineiamo come sia nell’uno che nell’altro caso, questa assenza lascia alquanto perplessi, visto che Statte è, subito dopo i rioni Tamburi, Paolo VI e Borgo della città di Taranto, l’altro territorio più colpito da decenni di inquinamento scellerato e gratuito da parte della grande industria, coperto dalla compiacenza di decine di classi dirigenti che si sono alternate sugli scranni di Palazzo di Città, Palazzo del Governo e Regione Puglia.
Ma non è solo l’assenza del Sindaco di Statte ad averci colpito. Perché assordante è stato il silenzio di Vendola, Florido e Stefàno, su due delle categorie che più hanno pagato dazio all’inquinamento prodotto da grande industria ed Arsenale Militare nella nostra città: i mitilicoltori e gli allevatori. Un silenzio che lascia basiti, visto che, come ad esempio nel caso degli allevatori delle 12 masserie che hanno visto andare al macello migliaia di capi di bestiame perché contaminati da diossina, la perizia dei chimici nominati dalla Procura di Taranto nell’ambito dell’incidente probatorio nell’inchiesta sull’inquinamento prodotto dall’Ilva, ha dimostrato come il dna della diossina presente nel tessuto e negli organi degli animali abbattuti, provenisse proprio dal siderurgico: “Si ritiene ragionevole affermare una correlazione preferenziale dei contaminanti riscontrati nei tessuti e negli organi animali esaminati con i profili di congeneri di PCDD/PCDF riscontrati nelle emissioni diffuse da ILVA spa”. 12 masserie, con annesse famiglie, lasciate sul lastrico e senza alcun aiuto: come se fosse un qualcosa di normale, il dazio da pagare al progresso ed al mostro d’acciaio. Un silenzio totale, che non può avere giustificazione alcuna.
Stesso discorso dicasi per i mitilicoltori, tutt’ora in balia di conoscere il loro destino. Certo non dei più rosei visto che saranno costretti ad emigrare nella rada di Mar Grande, dopo aver visto andare in fumo l’intera produzione del 2011, con il serio rischio di veder fare la stessa fine a quella del 2012. Causa un inquinamento da Pcb nel 1° seno del Mar Piccolo di dimensioni devastanti, prodotto dall’Arsenale della Marina Militare di Taranto e dai cantieri navali. Oltre che da un’azienda in agro Statte, la famosa San Marco Metalmeccanica, che ha portato negli anni tramite la falda sotterranea profonda che termina il suo percorso proprio nel 1° seno del Mar Piccolo, pcb in quantità industriale, sepolto in quel terreno nel corso degli anni da un “misterioso” inquinatore.
Eppure, per le nostre istituzioni, mitilicoltori e allevatori sono pressoché invisibili: semplicemente non esistono. Stesso discorso dicasi per i sindacati, che non hanno mai espresso un solo parere sulle vicende di queste due categorie, da sempre assenti nell’elenco degli iscritti, quindi privi di tessere sindacali, dunque “esenti” dai diritti che invece hanno tutti i lavoratori di tutte le altre categorie iscritte al sindacato. Silenzio che accompagna anche il movimento ambientalista, totalmente assente sulla problematica dei mitilicoltori (gli allevatori in questo sono stati leggermente più fortunati), alle prese con la campagna elettorale in cui al momento c’è posto solo per il dibattito sull’AIA e la rincorsa disperata nel cercare quanta più gente possibile da candidare (ignoti al momento i criteri di scelta e, soprattutto, il perché non si candidano loro stessi per primi, quanto meno per dare il “buon esempio”).
Detto ciò, vorremmo tanto sapere di cosa stiamo parlando, quando sentiamo ripetere un giorno sì e l’altro pure di eco-compatibilità. O quando anche mercoledì abbiamo sentito ripetere dalle nostre istituzioni che l’obiettivo è coniugare le esigenze di ambiente, lavoro e salute. Ma di quale lavoro parlate, dunque? Solo di quello degli operai dell’Ilva? E di quale ambiente parlate? E per salute da tutelare cosa intendete, visto che il nostro eco sistema intero si è andato a far benedire, uccidendo le risorse naturali di un intero territorio, avendo inquinato per decenni l’aria, il terreno ed il mare? Che siano domande troppo scomode a cui dare risposta? Chi vivrà, vedrà.
Gianmario Leone