Discariche Ilva, una piaga nascosta

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TARANTO – Non ci ha stupito più di tanto il sequestro dell’ex cava Cementir avvenuto la scorsa notte e utilizzata come discarica dall’Ilva, da parte del Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza insieme con il Nucleo di Polizia Giudiziaria del Comando di Polizia Provinciale di Taranto. Né ci ha stupito il sequestro di un’altra area (di proprietà dell’Asi ma gestita sempre dall’Ilva) che si estende per una trentina di metri, dove sono risultate presenti sostanze liquide maleodoranti e qualificate come percolato, in cui vi sono anche le quattro vasche di raccolta utilizzate nella discarica nella cava “Mater Gratiae”.

Il perché è presto detto: come denunciammo lo scorso mese, entrambe queste discariche erano presenti nel verbale della Conferenza dei Servizi Decisoria “per acquisire le intese ed i concerti previsti dalla normativa vigente in materia d’approvazione dei progetti di bonifica concernenti l’intervento sul “Sito di Interesse Nazionale di Taranto” del 15 marzo 2011, tenutasi presso la sede del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare. Al termine del sopralluogo di mercoledì notte, gli inquirenti hanno elevato all’Ilva sei violazioni del decreto legislativo riguardante le norme in materia ambientale: la mancata comunicazione di un evento potenzialmente contaminante per il sito, mancata sistemazione e post gestione di parte della discarica in disuso; stoccaggio senza autorizzazione di rifiuti liquidi in alcuni serbatoi, in due aree diverse dell’impianto; omissione della presentazione delle garanzie finanziarie prima di intraprendere la gestione dell’impianto di trattamento del percolato; deposito incontrollato di rifiuti, immessi nelle acque superficiali o sotterranee. Quattro invece, sono state le violazioni alle norme in materia ambientale contestate alla Cementir: per aver realizzato o gestito abusivamente una discarica senza autorizzazioni, non aver ottemperato al decreto del commissario per l’emergenza rifiuti e non aver osservato le prescrizioni contenute nell’Aia.

Quel verbale della Conferenza dei Servizi Decisoria, metteva in guardia su quanto contestato l’altra notte all’Ilva: “presso le discariche deve essere eseguito il monitoraggio della falda, attraverso dei piezometri che devono essere ubicati a monte e a valle idrogeologico rispetto a ciascuna discarica presente nell’area”. Inoltre, considerando che le linee di flusso della falda sotterranea presenti in quell’area hanno diversa orientazione, “si ritiene che debbano essere opportunatamente previsti dei pozzi da posizione uno in corrispondenza di ciascun lato della discarica ad una distanza massima dalla stessa pari a 500 metri e alla profondità  che si dimostri idonea per monitorare tutta la falda sottostante le discariche in questione”. Alla luce di quanto contestato dagli inquirenti, non pare che ciò che veniva prescritto in quel verbale abbia visto la luce. D’altronde è storia oramai nota che l’Ilva ricorse subito al Tar contro tutte le osservazioni e le prescrizioni presenti nel verbale di quella Conferenza dei Servizi Decisoria, e che lo stesso Tar ha dato ragione all’Ilva appena pochi giorni fa. Ma non ragione su tutto: e presto vi sveleremo il perché, analizzando proprio quella sentenza del Tar.

Tanto per avvisare i nostri politici e i nostri sindacati, ricordiamo che l’Ilva, proprio in relazione alla discariche su citate, ha messo a bilancio un intervento di investimento totale di 8.010.000 €, di cui una parte concluso addirittura nel 2008, dal titolo “L’investimento ha introdotto una nuova tecnologia in grado di garantire un alto grado di protezione dell’ambiente attraverso lo smaltimento dei rifiuti in impianto appropriato, garantendo inoltre una sensibile riduzione della movimentazione dei rifiuti”.

G. Leone

g.leone@tarantooggi.it

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