In un ampio reportage a firma del giornalista Guillaume Delacroix, il giornale transalpino critica con fermezza le misure adottate dalle istituzioni pugliesi per rilanciare l’economia regionale e locale. E da buon giornalista che si rispetti, Delacroix basa la sua critica sui numeri, che in questo caso non mentono mai. “Mentre a livello nazionale la disoccupazione è al 9%, a Taranto supera il 30%, volando al 60% tra gli under 25. Il peggior dato del mezzogiorno. In questa regione il 21% delle famiglie vive in uno stato di povertà con un Pil che è la metà di quello della Lombardia. Taranto batte i record anche quando si tratta di inquinamento. I suoi abitanti sono sottoposti, da soli, al 30% delle emissioni di diossina dell’intera Penisola, con enormi rischi per la salute dei suoi cittadini”.
Nel suo lungo reportage, Delacroix dimostra di aver visitato Taranto con grande interesse, senza lasciarsi incantare dal fumo negli occhi dei classici incontri istituzionali con il sindaco Stefàno (che conferma l’uscita dal dissesto menzionando il restante debito di 190 milioni di euro e la buona amministrazione del suo quinquennio in ambito economico e finanziario) o con il segretario provinciale della Cisl, Daniela Fumarola, che conferma la cecità dei sindacati quando afferma che “sul futuro siamo ottimisti perché le grandi industrie presenti sul nostro territorio stanno investendo” e che, quando il discorso si sposta sull’Ilva, non dimentica di rimarcare come l’azienda “nutra” oltre 16.000 famiglie.
E sempre restando in ambito Ilva, Delacroix “l’azienda appartiene al Gruppo Riva, numero quattro del settore siderurgico in Europa con un fatturato di 8 miliardi di euro nel 2010. Fino ad allora, la famiglia Riva non è stata molto disturbata dal governo sulle questioni ambientali. E per una buona ragione: nel 2008, ha contribuito a salvare Alitalia prendendo l’11% del capitale della compagnia aerea, che gli è valso il suo secondo azionista, dopo Air France”. Ma come ogni giornale economico che si rispetti, anche “Les Echos” e il giornalista Delacroix prendono un mezzo abbaglio quando tra i segnali di ripresa economica per la città di Taranto, citano (oltre al Porto, alla Marina Militare, alla Vestas ed al gruppo Alenia) come esempi la nuova centrale Enipower dell’Eni e la “Nuova Italia Cementir”, dimostrando di non aver approfondito abbastanza tali progetti, sia in tema di inquinamento che di investimento economico per la città di Taranto.
Il giornalista francese, come detto, ha girato a lungo per le strade della città dei Due Mari: e lo dimostra quando parla delle prelibatezze culinarie locali citando il ristorante dei fratelli Murianni, dei vicoli della città Vecchia e del Mar Piccolo. O come quando cita la famosa frase del giudice e scrittore Giancarlo De Cataldo, presentandolo come una “celebrità” locale, “Taranto ha la borghesia più avida e più irresponsabile del sud Italia”. Ma, soprattutto, ci piace sottolineare il periodo finale del reportage del giornalista francese, quando porta come esempio di ottimismo per il futuro e reale voglia di cambiamento “alcuni giovani di Taranto.
Riuniti su Facebook con lo slogan “Ammazza Che piazza!” (slogan geniale per questa città!), organizzano regolari operazioni di pulizia nelle strade e nelle piazze, per ripristinare il verde ed il colore alle pareti, dipingendo murales sul tema dell’industria. Un altro modo per credere nel futuro, nel turismo e nella cultura per l’antica città greca fondata 2700 anni fa”. E se anche un giornalista del principale quotidiano economico francese, ha colto nel movimento creato da un vero ragazzo di Taranto, come è stato il compianto Claudio Morabito, il segno migliore per credere nel futuro e nel riscatto di questa città, può solo significare che chi è nel torto è chi crede ancora che questa città abbia una vocazione industriale ed un futuro fatto di veleni e ciminiere.
Gianmario Leone
Benzo(a)pirene, corsi e ricorsi storici
E’ tempo di incontro e tavoli istituzionali negli uffici della Regione Puglia. In attesa di quello che domani vedrà come protagonisti il Ministro dell’Ambiente Corrado Clini, il governatore Nichi Vendola, il sindaco di Taranto Ippazio Stefàno e il presidente della Provincia di Taranto Gianni Florido, che discuteranno
della riapertura del procedimento dell’A.I.A. dell’Ilva di Taranto, ieri è toccato ad alcuni tecnici della Regione, dell’Arpa, della Provincia e del Comune di Taranto. Che si sono riuniti per avviare “una fase di valutazione in ordine alla necessità di ricondurre i valori di benzo(a)pirene entro i limiti di legge nell’area del capoluogo ionico”.
Dunque, l’ennesimo tavolo per risolvere uno dei maggiori problemi in termini di inquinamento industriale prodotto dall’Ilva, vissuto nel solito clima di “confronto positivo che ha definito un percorso di interlocuzione con gli altri soggetti che agiscono sul territorio e con cui dovremo lavorare nel bene comune”. Durante il tavolo istituzionale è stato ribadito per l’ennesima volta come si sia verificato lo sforamento del tetto massimo di 1 nanogrammo per metro cubo del pericoloso cancerogeno, che ha “costretto” i nostri prodi a verificare l’analisi delle fonti, “a partire da quelle civili legate al traffico fino a quelle legate agli insediamenti industriali, e l’individuazione di un percorso per la mitigazione dei dati”: per questo motivo nelle prossime settimane la Regione convocherà i soggetti privati operanti sul territorio e gli enti locali “per individuare, ciascuno per le proprie competenze, percorsi e azioni utili al contenimento dei emissioni nell’ottica del comune interesse alla tutela del territorio e della salute pubblica”.
Anche in questo caso però, è bene rinfrescare alle nostre istituzioni la memoria. Il 9 settembre del 2010 una delibera approvata in Giunta (della somma di 318 mila euro), portò alla firma con l’Arpa Puglia per la convenzione per il monitoraggio diagnostico degli idrocarburi aromatici policiclici nell’aria di Taranto. Convenzione che, è bene ricordare, venne firmata da Eni e Cementir, che non solo contribuirono all’acquisto del materiale necessario, ma accettarono di far piazzare le centraline di monitoraggio
sia all’esterno che all’interno dei loro siti industriali. Cosa che invece non fu possibile realizzare nell’Ilva (le centraline sono state posto solo all’esterno), per il netto rifiuto opposto dalla dirigenza, che portò come “scusa” quella di avere “pendenze giudiziarie pregresse”: in pratica uno dei tanti ricorsi al Tar.
Oggi, a distanza di oltre un anno e mezzo, stando a quanto accaduto ieri in Regione, siamo tornati al punto di partenza. Ovvero con lo sforamento dei limiti di benzo(a)pirene avvenuti per il secondo anno consecutivo, con gli enti istituzionali nuovamente pronti a riunirsi attorno ad un tavolo con le industrie per cercare di trovare una soluzione, e con il principale responsabile di inquinamento da benzo(a)pirene, l’Ilva (come stabilito dalla Relazione Tecnica dell’Arpa Puglia del 4 giugno 2010), ancora alle prese con diverse e pesantissime “pendenze giudiziarie”…
G. Leone
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