Ecco, metaforicamente parlando, è più o meno quello che avviene ogni qual volta l’Ilva fa ricorso al Tar di Lecce, quando, puntualmente, raggiunge il suo obiettivo: ovvero la sospensione dei provvedimenti, a cui si appella in nome di cavilli legislativi, che a suo dire sarebbero profondamente “ingiusti”. Rinviando così nel tempo provvedimenti che, viste anche le conclusioni finali delle perizie dei chimici e degli esperti epidemiologi nell’ambito dell’inchiesta portata avanti dalla Procura di Taranto, probabilmente aiuterebbero a ridurre il numero degli “avversari” da eliminare.
Ultimo e forse più famoso ricorso, è quello presentato lo scorso 10 novembre e discusso davanti ai giudici amministrativi in Camera di Consiglio nella giornata di mercoledì, in cui l’Ilva ha chiesto la sospensione di alcune prescrizioni presenti nell’A.I.A. (Autorizzazione Integrata Ambientale) che il siderurgico aveva ottenuto nel luglio scorso. I provvedimenti in questione, giudicati dagli avvocati dell’Ilva Francesco Perli e Roberto Marra “troppo restrittivi”, riguardano i sistemi di abbattimento di macro e micro inquinanti, il piano di monitoraggio e controllo delle emissioni e la revisione della rete di smaltimento delle acque reflue.
Nella giornata di venerdì, dunque, si è appreso che il Tar ha accolto la richiesta di sospensiva presentata dal gruppo Riva sulle prescrizioni ministeriali contenute nell’A.I.A., fissando la discussione di merito per il 6 giugno prossimo. Sarà interessante ascoltare nei prossimi giorni le reazioni della politica e dei sindacati, ammesso e non concesso che ve ne saranno. E’ bene infatti ricordare che quest’ultimi, dopo aver salutato con giubilo eccessivo e fuori luogo il rilascio dell’A.I.A. all’Ilva nello scorso luglio considerato strumento indispensabile per controllare il rispetto delle leggi e dei limiti emissivi del siderurgico, hanno clamorosamente fatto marcia indietro dopo le perizie dei chimici e dei periti epidemiologi, chiedendo a gran voce la riapertura del procedimento per aggiornarlo con norme più restrittive. Non avendo però il coraggio di dire ai cittadini di Taranto che ciò che ora pretendono di fare, avrebbero potuto tranquillamente ottenerlo la scorsa estate, se solo avessero fatto il loro dovere: ovvero chiedendo le più restrittive prescrizioni, invece di lasciare tutto in mano ai tecnici della commissione IPPC che redassero un semplice “foglio di via”, con appena qualche “restrizione” che l’Ilva, come si è visto, non ha affatto gradito.
Intanto però, nel mentre veniva inscenata questa divertente commedia da parte dei nostri prodi, l’Ilva ha scelto di proseguire come sempre per la sua strada, scegliendo l’atteggiamento classico dello scontro frontale contro chiunque gli si metta di traverso: di fatto illudendo politici e sindacati di come fosse giunto il momento di procedere tutti insieme sulla strada del dialogo, per raggiungere quanto prima il traguardo dell’eco-compatibilità. Infine, ma non certo per importanza, è importante sottolineare come mercoledì sia stato anche discusso il ricorso presentato dall’Ilva per eliminare gli effetti immediati del provvedimento preso da parte del Comitato di coordinamento per l’accordo Puglia-Basilicata lo scorso 28 ottobre, con il quale era stato deciso l’aumento del costo dell’acqua per uso industriale.
In quell’occasione infatti, il comitato di coordinamento per l’accordo Puglia-Basilicata, sotto spinta dell’assessore regionale Amati, aveva deciso di ridurre a partire dal 1 gennaio 2012 il costo dell’acqua per uso agricolo del 25% e di aumentare quello per uso industriale del 250% per il 2012, del 400% per il 2013 e del 500% per il 2014 (in pratica l’Ilva andrebbe a pagare un massimo di 6 milioni di euro agli attuali 600.000), “per incentivare le imprese a contenere i consumi per contribuire al raggiungimento degli obiettivi di tutela ambientale stabiliti dall’Unione Europea e di perseguire una politica gestionale più sostenibile delle risorse idriche”.
E’ bene infatti ricordare che la Regione Puglia ha cercato invano di raggiungere un accordo con l’Ilva per oltre un anno sulla delicata vicenda: ma dopo una serie di incontri, l’Ilva pronunciò il suo no definitivo nella riunione dell’8 febbraio 2011, bocciando la proposta dell’ente regionale che prevedeva la possibilità di utilizzare l’acqua proveniente dall’impianto di affinamento Gennarini-Bellavista di Taranto, risparmiando così i 250 litri al secondo che l’Ilva preleva dal Sinni ed utilizza per i suoi scopi industriali: parliamo di 7,5 milioni di metri cubi di acqua potabile adoperati ogni anno per raffreddare gli impianti, che sarebbero invece invasati e utilizzati per Taranto e il Salento, alimentando la Diga Pappadai.
Un “no” quello dell’epoca ed un ricorso odierno, che in realtà è l’ennesimo schiaffo del gigante d’acciaio nei confronti di migliaia di agricoltori e di altrettante migliaia di cittadini della provincia ionica. Inoltre, stando a quanto trapelato durante la giornata di mercoledì presso il Tar di Lecce, pare che a stretto giro di posta l’Ilva presenterà l’ennesimo ricorso, questa volta contro l’ordinanza del sindaco di Taranto, Ippazio Stefàno, che intimava all’azienda di attuare diversi provvedimenti entro 30 giorni, per ridurre le emissioni industriali dagli impianti giudicati non a norma dai periti chimici e che uccidono e fanno ammalare decine di operai e cittadini, come dimostrato dalla perizia degli esperti epidemiologici. E pensare che a tal proposito, appena lo scorso 1 marzo, attraverso una nota ufficiale, l’Ilva aveva fatto sapere che “da oggi (1 marzo) partono le azioni necessarie per raggiungere gli obiettivi richiesti”. Le azioni, appunto. Ma quelle legali.
Il tutto avviene mentre le “anime belle” dell’ambientalismo tarantino, insieme a personaggi locali dello “spettacolo” quanto meno discutibili e spuntati all’improvviso come funghi intorno alla tematica ambientale (che adesso fa tanta moda), hanno festeggiato nella più classica delle convention radical chic, la candidatura a Sindaco di Angelo Bonelli, attuale presidente nazionale della Federazione dei Verdi, accolto dai nostri prodi come una specie di messia straniero dell’ambientalismo nazionale ed europeo, che trasformerà Taranto in una specie di regno dei cieli dell’ecologismo. Lo stesso ha giudicato la sua candidatura come l’estrema conseguenza del fallimento della politica locale. Fallimento che, stranamente, non tocca gli ambientalisti che oggi lo appoggiano, amici intimi di Stefàno e Vendola sino all’altro giorno, e fautori del fallimento della politica ambientalista locale degli ultimi 5 anni. Un certo Bertold Brecht, diceva: “Guai a quel paese che ha bisogno di eroi”. Aveva proprio ragione.
Gianmario Leone
g.leone@tarantooggi.it
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