TARANTO – Non c’è che dire: é davvero un periodaccio per l’Ilva di Taranto. Nel bel mezzo di un’inchiesta che domani vedrà la deposizione dell’attesissima perizia dei periti epidemiologi nominati dalla Procura di Taranto nell’ambito della seconda parte dell’incidente probatorio all’interno dell’inchiesta che vede coinvolti i vertici dell’azienda per reati di varia natura (disastro colposo e doloso, avvelenamento di sostanze alimentari, omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro, danneggiamento aggravato di beni pubblici, getto e sversamento di sostanze pericolose, inquinamento atmosferico), nel pomeriggio di ieri il siderurgico è tornato a far parlare di sé. Questa volta però, ad attirare l’attenzione della città, non è stata nessuna fantasiosa iniziativa del Centro Studi Ilva o roboante dichiarazione dei vertici aziendali, bensì un’altissima colonna di fumo nero, sprigionatasi verso le tre del pomeriggio, visibile ad occhio nudo non solo da tutta la città ma anche da alcuni paesi della Provincia.
La cosa più importante, che ci teniamo a sottolineare, è che non si sono registrati feriti o intossicati tra gli operai del siderurgico. E’ questa, almeno per noi, la notizia più importante. La sottolineatura è d’obbligo visto che solo un paio di telefonate giunte in redazione, chiedevano per prima cosa notizie su eventuali feriti: tutte le altre erano unicamente tese a sapere quale ripercussione sull’ambiente fosse avvenuta e di quale entità, quasi con la speranza di ricevere chissà quale tragica rivelazione, solo per cavalcare l’onda di un esasperato ambientalismo.
Tornando alla cronaca dei fatti, l’incendio in questione è avvenuto nell’Aarea Tubificio ERW dello stabilimento (adiacente alla strada che conduce a Statte tanto per intenderci). Che sia un momento non dei migliori per l’Ilva, lo dimostra il fatto che il trasformatore in questione era di nuova concezione, ovvero ad olio minerale senza presenza di PCB. Intorno alle 15, un trasformatore elettrico a raffreddamento ad olio minerale (220 mila kw – 66 mila kw), nuovo, appena installato, del reparto Ser-Tub (nei pressi della portineria del tubificio), collegato al circuito primario alla linea Enel, dopo circa mezzora dall’avviamento della macchina, si è verificata una deflagrazione. Nello scoppio, l’olio dielettrico (circa 38 mila litri) presente all’interno della macchina elettrica ha provocato uno spaventoso incendio, le cui fiamme hanno raggiunto un’altezza di circa 40 metri.
Lo stesso direttore di Arpa Puglia, Giorgio Assennato, ha confermato che non vi è stata alcuna emissione di PCB o diossina. In serata l’Arpa, dopo aver preso visione delle varie centraline presenti in città, ha reso noto che solo la centralina di via Machiavelli situata al rione Tamburi, ha registrato un picco di IPA totali, di 90 nanogrammi al metro cubo: ma tenendo presente che negli orari di traffico veicolare intenso, gli IPA totali raggiungono anche i 50 nanogrammi, l’Arpa ha per ora escluso la possibilità di ripercussioni ambientali.
A maggior ragione, dunque, ciò che ci preme tornare a sottolineare con forza è ricordare al Prefetto, alle nostre istituzioni e sindacati, come Taranto non sia ancora dotata di un “Piano di Emergenza Esterno definitivo per incidenti rilevanti“, visto che ancora mancano i Rapporti di Sicurezza definitivi di Ilva ed Eni. Ma c’è poco di che stupirsi: qui siamo a Taranto, città nella quale queste aziende hanno sempre avuto mano libera nell’inquinare, così come nel decidere autonomamente il se, il come e il quando rispettare o meno la legge. Perché anche in questo caso, di questo si tratta: si dia il caso che esiste il Decreto Legislativo 17 agosto 1999, n. 334 (238 del 2005 e 139 del 2009) che obbliga le aziende a dotarsi di tale piano, per evitare i così detti casi di “incidente rilevante”: ovvero un evento quale “un’emissione, un incendio o un’esplosione di grande entità, dovuto a sviluppi incontrollati che si verificano durante l’attività di uno stabilimento, che dia luogo ad un pericolo grave, immediato o differito, per la salute umana o per l’ambiente, all’interno o all’esterno dello stabilimento, e in cui intervengano una o più sostanze pericolose“.
La Prefettura di Taranto approvò il Piano di Emergenza Esterno (P.E.E.) con provvedimento prefettizio n. 4213/2008/P.C. del 30.6.2008, quale rielaborazione del PEE edizione 15 luglio 2003. Il problema è che lo stesso documento ha carattere provvisorio non essendo ancora stata ultimata, in particolare per l’ENI, l’istruttoria del rapporto di sicurezza da presentare a cura dei gestori delle aziende interessate. E così, ancora una volta, ci troviamo a vivere una situazione di limbo assoluto, in cui Ilva ed Eni si trovano nella posizione paradossale di avere l’ok provvisorio per continuare a produrre o a proseguire nei loro progetti, pur non rispettando in toto le leggi esistenti. Nel frattempo, come dimostra quanto accaduto ieri, sia in Eni che in Ilva gli incidenti continuano ad accadere: giocare troppo con il caso potrebbe essere davvero deleterio. Dotiamo al più presto la nostra città di un Piano di Emergenza Esterno, e pretendiamo da Ilva ed Eni il completamento del rapporto sicurezza, all’interno del quale ci sono anche tutte le prescrizioni previste nel certificato antincendio. La prossima volta potrebbe essere troppo tardi. Per tutti.