In pochissimi, infatti, sono a conoscenza dell’esistenza di diverse discariche all’interno del perimetro del siderurgico tarantino. Sicuramente una delle pagine meno chiare su quanto avviene dentro l’Ilva. E mentre leggevamo proprio la parte riguardante la discarica, abbiamo avuto una specie di “illuminazione”. Sì, perché delle discariche presenti nel siderurgico, si era occupata anche la Conferenza dei Servizi Decisoria “per acquisire le intese ed i concerti previsti dalla normativa vigente in materia d’approvazione dei progetti di bonifica concernenti l’intervento sul “Sito di Interesse Nazionale di Taranto” del 15 marzo 2011 tenutasi presso la sede del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare. Il verbale di quella conferenza vide la luce per la prima volta durante l’audizione della V Commissione Ambiente della Regione Puglia dello scorso 1 giugno, che poi licenziò il testo della legge sul “Piano Bonifiche delle falde acquifere” una settimana dopo, l’8 giugno. Da quella data però, della legge in questione non si è più avuta notizia.
In quel famoso verbale, la Conferenza dei Servizi Decisoria sosteneva come il Piano di Caratterizzazione sito-specifico presentato dall’Ilva fosse incompleto, vista “la perdurante assenza della conseguente Analisi di Rischio che deve concorrere alla definizione dei nuovi valori soglia al fine di stabilire definitivamente il livello di effettivo inquinamento”. Il messaggio era, già allora, fin troppo chiaro: senza un Analisi di Rischio seria e completa, nessuna vera bonifica potrà mai essere effettuata. Inoltre, nel verbale venivano chiariti due punti di snodo fondamentali per giungere alla verità sull’effettivo livello di inquinamento della falda. Primo: “per gli analiti quali metalli e metalloidi la competenza sulla definizione dei valori di fondo è dell’Arpa Puglia”. Proseguendo nel verbale, la Conferenza dei Servizi specificava, non senza ironia, che per gli “analiti quali Cianuri totali, benzo(a)pirene, cromo totale, mercurio, piombo etc, la loro esclusiva natura antropica rende un ossimoro la loro ricerca come elementi naturali…”.
Che la falda sia profondamente inquinata, tanto da richiedere l’estrema urgenza di messa in sicurezza, del resto, è la stessa Ilva S.p.A ad ammetterlo attraverso una nota inviata e protocollata DIR/28 del 16/04/2010, acquisita dalla Direzione Generale TRI del Ministero dell’Ambiente, del Territorio ed del Mare nell’ambito del procedimento del rilascio dell’A.I.A. (Autorizzazione Integrata Ambientale), in cui vengono riportati i dati dei piezometri effettuati per stabilire la qualità delle acque superficiali e di quelle profonde. E sia nella falda di superficie con “manganese, ferro,alluminio, arsenico, cromo esavalente e cianuri totali per gli inorganici, mentre i contaminanti organici riscontrati sono IPA, BTXES e diversi composti clorurati”, sia nella falda profonda con “piombo, ferro, manganese,alluminio, cromo totale, nichel e arsenico mentre per gli inquinanti organici si è avuto il superamento per triclorometano, tetracloroetilene, diversi IPA”, i campioni superavano di tre o più parametri il valore limite di accettabilità.
Nonostante quella nota, con una determina datata 11 maggio 2010, la Regione Puglia concludeva il procedimento rilasciando il provvedimento di VIA (Valutazione d’impatto ambientale) a favore del progetto dell’Ilva (“Discarica per rifiuti speciali non pericolosi prodotti dallo stabilimento Ilva di Taranto e dalle aziende partecipate presenti nel territorio della provincia in area Cava Mater Gratiae, in agro di Statte”, presentato dall’azienda nel luglio del 2004). I Comuni di Taranto e Statte ricorsero al Tar, ma il tribunale amministrativo dette ragione all’Ilva, in quanto la Regione aveva proceduto al rilascio della VIA dopo aver più volte sollecitato le due amministrazioni a prendere parte al procedimento, e dopo che anche la stessa Ilva aveva più volte inviato il progetto in essere agli uffici competenti senza avere risposta alcuna. Ma nella sentenza del Tara di Lecce dello scorso marzo, si legge anche dell’altro. Ovvero che “in particolare è stato rilevato che dai dati presentati la presenza delle discariche Ilva non influenza la qualità della falda acquifera. Anche con riferimento all’impermeabilizzazione, l’Ilva ha provveduto ad adeguarsi alla prescrizioni della Provincia”. Strano, molto strano. Perché la Conferenza dei Servizi Decisoria, in merito alla discarica “ex Cava Due Mari” e alla discarica “Mater Gratiae”, evidenzia varie osservazioni e prescrizioni. In primis, viene sottolineato come “in corrispondenza di queste due discariche deve essere eseguito il monitoraggio della falda, attraverso dei piezometri che devono essere ubicati a monte e a valle idrogeologico rispetto a ciascuna discarica presente nell’area”.
Inoltre, considerando che le linee di flusso della falda sotterranea presenti in quell’area hanno diversa orientazione, “si ritiene che debbano essere opportunatamente previsti dei pozzi da posizione uno in corrispondenza di ciascun lato della discarica ad una distanza massima dalla stessa pari a 500 metri e alla profondità che si dimostri idonea per monitorare tutta la falda sottostante le discariche in questione”. Tutto questo è stato fatto? Ne dubitiamo, visto che l’Ilva ricorse subito al Tar contro tutte le osservazioni e le prescrizioni presenti nel verbale di quella Conferenza dei Servizi Decisoria. Inutile dirvi, infine, che l’Ilva, proprio in relazione alla discarica “ex 2^ categoria di tipo “B Speciale” in area Cava Mater Gratiae” e “ex 2^ categoria di tipo C”, ha messo a bilancio un intervento di investimento totale di 8.010.000 €, di cui una parte concluso addirittura nel 2008, dal titolo “L’investimento ha introdotto una nuova tecnologia in grado di garantire un alto grado di protezione dell’ambiente attraverso lo smaltimento dei rifiuti in impianto appropriato, garantendo inoltre una sensibile riduzione della movimentazione dei rifiuti”. Ma se lo dice l’Ilva, perché non crederci?
Gianmario Leone
g.leone@tarantooggi.it
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