Una bella giornata di sole – Da ieri la speranza di una Taranto diversa
TARANTO – “Noi vogliamo vivere“. Una richiesta semplice, forse sin troppo scontata, ma non se a pronunciarla o meglio a cantarla, sono centinaia di giovani tarantini. Più che uno slogan, una pretesa che in realtà è un diritto universale a cui nessuno può essere chiamato a rinunciare. Nemmeno di fronte ad una contropartita chiamata lavoro o, peggio ancora, chiamata libero mercato. Per il semplice motivo che senza la garanzia della tutela della salute, e quindi della vita, non esisterebbero nemmeno il lavoro e il libero mercato. A maggior ragione poi se tutto questo ragionamento lo collochiamo all’interno di una realtà come Taranto, città diventata a vocazione industriale per scelte politiche che hanno dimostrato tutta la loro limitata lungimiranza nel corso di questi decenni, in cui l’inquinamento ha letteralmente avvelenato, anno dopo anno, tutto ciò che poteva, tra aria, acqua e terreno. Comprese le nostre vite. Troppo alto, infatti, è stato il prezzo da pagare. Troppo dolore, troppe ingiustizie per poter sopportare ancora. Troppe le opportunità perse per una città che potrebbe vivere meglio, molto meglio, se solo fossero state sfruttate appieno tutte le sue, queste sì innate, risorse. Se poi a tutto questo andiamo ad aggiungere decenni in cui l’assenza, la complicità e l’arroganza di politici e sindacati si è fusa con gli interessi di una sola parte, l’industria pubblica prima e privata poi, ecco sorgere, crescere e svilupparsi, anno dopo anno, quella che oggi è la dura e triste realtà di Taranto.
Per tutti questi motivi e per tanti altri ancora, centinaia di persone si sono ritrovate ieri all’esterno del Tribunale di Taranto, mentre al suo interno si svolgeva la prima udienza dell’incidente probatorio nell’inchiesta sull’inquinamento dell’Ilva portato avanti dal Gip Patrizia Todisco. In camera di consiglio i quattro periti del pool incaricato dal gip hanno relazionato sul loro lavoro durato più di un anno e presentato lo scorso 28 gennaio: una relazione di 554 pagine che mette sotto accusa il colosso siderurgico della famiglia Riva. “Poiché allo stato attuale alle emissioni derivanti da questi impianti non sono installati i sistemi di controllo in continuo né viene verificato il rispetto dei limiti dei parametri inquinanti previsti dal D.M. 5 febbraio 1998 sopra detti, tali emissioni non risultano conformi a quanto previsto dalla normativa nazionale. Inoltre poiché ai suddetti camini non sono installati i sistemi di controllo in continuo alle emissioni, non c’é alcun elemento che dimostri il rispetto dei limiti “: questo, forse, il passo più importante e decisivo su cui si basa la relazione dei periti chimici che conferma, questa volta su base scientifica, che i presunti miliardi di euro investiti dalla famiglia Riva dal 1995 ad oggi, saranno forse serviti per ammodernare qualche impianto vetusto della vecchia Italsider, ma che certamente non hanno impedito all’Ilva di inquinare impunemente per anni ed anni. Ed è di questo che ora dovranno rispondere di fronte alla legge, perché anche questa città ha diritto ad avere verità e giustizia.
E mentre nell’aula F gli avvocati dell’Ilva opponevano le loro resistenze di fronte alle argomentazione dei periti chimici, all’esterno la partecipazione ha visto protagonisti centinaia di giovani (e non quelle poche decine che qualche agenzia di stampa o siti internet di quotidiani locali hanno scritto) delle scuole superiori tarantine, dell’Università e dei vari comitati cittadini. Ragazzi di Taranto di tutte le età che hanno manifestato la loro voglia di cambiare e di voler essere protagonisti nella costruzione del futuro di questa città. Tanti i cori, gli slogan, gli striscioni, i fumogeni accesi. Si respirava un’aria finalmente positiva, una rabbia contagiosa e dalla grande energia. Ma come abbiamo scritto anche ieri, siamo solo all’inizio. Perché abbiamo tutti coscienza del fatto che l’inchiesta e l’eventuale processo contro l’Ilva di Taranto, dureranno diversi anni. Ed è proprio nello spazio temporale di questi anni che si dovranno andare a collocare tutte quelle anime che sognano un futuro diverso. Perché sognare una città senza più industrie è la cosa più bella e semplice da desiderare: ma farlo nella pratica è tutt’altra storia. Da oggi tutti, nessuno escluso, ci dovremo impegnare anche e soprattutto in questo: nell’immaginare e nel portare avanti reali progetti alternativi, che possano esaltare le risorse “naturali” di questa città e della sua gente. E’ un lavoro arduo, difficilissimo, certo: ma è l’unica via realmente possibile da perseguire.
E su questo sentiero di cambiamento potranno incamminarsi soltanto coloro che davvero amano in maniera disinteressata questa città nel più profondo del loro cuore. Soltanto coloro che saranno in grado di fare un passo indietro, da domani, per farne cento in avanti nei prossimi anni. E come ribadito più volte da queste colonne, sarà fondamentale coinvolgere seriamente tutte le scuole di Taranto e Provincia in questo percorso di cambiamento. Il futuro di questa città è in mano ai suoi giovani: solo una massa consapevole ed informata, potrà immaginare e scegliere strade alternative alla politica e all’imprenditoria tarantina degli ultimi sessant’anni. L’Ilva, dal canto suo, farà di tutto per portare avanti il più a lungo possibile l’eventuale processo. Molto probabilmente chiederà anche lo spostamento del processo per incompatibilità ambientale. Sarebbe un colmo ed un paradosso per un’industria che da anni spaccia ai quattro venti, con l’appoggio complice e scellerato di un’intera classe politica e sindacale, il suo esser diventato negli anni sempre più “eco-compatibile” con il territorio. Ma non illudetevi: se mai dovessero spostare l’eventuale processo, Taranto ed i tarantini raggiungeranno qualunque città italiana pur di far sentire la propria voce che chiede verità e giustizia. Passeranno anni. Forse decenni. Ma Taranto ed i suoi giovani, prima o poi, si riprenderanno ciò che gli è stato tolto. Con gli interessi.
Gianmario Leone
g.leone@tarantooggi.it