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Udienza Ilva, tra la folla di giovani la troupe di Bill Emmott

TARANTO – «Siamo qui per un documentario sull’Italia migliore, quella che rappresenta le forze più positive. Taranto è una tappa di questo percorso». E’ una giovane regista a spiegare la presenza davanti al Tribunale di un personaggio del calibro di Bill Emmott, ex direttore dell’Economist, prestigiosa rivista britannica. La loro troupe si aggira tra la folla che presidia via Marche, fa interviste che avranno una risonanza internazionale. Il dramma dell’inquinamento ionico varcherà i confini locali, dov’è rimasto relegato per troppo tempo, per avere finalmente una ribalta di tutto rispetto.

Che la giornata sia percepita come storica lo si capisce dalle prime ore del mattino, quando frotte di studenti si dirigono verso il Tribunale. Stavolta, per centinaia di loro, la tentazione di fare filone cede ad uno scopo indiscutibilmente più nobile: manifestare la voglia di giustizia di una generazione avvelenata. Sono loro, i giovani, la parte più viva di questa città. Un’energia che unisce studenti di vari istituti scolastici, in alcuni casi accompagnati da docenti che rimangono defilati. Nei loro sguardi, però, si legge un pizzico di orgoglio. «Anche gli insegnanti sono dalla nostra parte – confermano alcuni ragazzi del Cabrini, del Pacinotti e del Maria Pia, che si sono radunati per terra, sul marciapiede – e d’altronde perché non dovrebbero esserlo? Siamo qui per una giusta causa».

«Stanchi di mangiare polveri, studenti a difesa di Taranto», si legge su uno striscione appeso lungo la ringhiera che cinge il Tribunale, sul versante di Corso Italia. E’ proprio qui, che dalle 9, si è formato il primo nucleo di manifestanti, che pian piano ha preso consistenza allargandosi a macchia d’olio. Tanto che la Polizia Municipale è costretta a bloccare il traffico per un tratto di strada. «Noi condannati a morte, voi ancora in attesa di giudizio», è il messaggio forte che formano con le loro magliette alcuni ragazzi. Facile intuire chi sono i destinatari: i vertici Ilva.

 Qualche metro più avanti si notano degli omini di cartone, con su scritto: “Pensa al futuro del tuo bambino” e “Basta morti bianche”. Diversi studenti si sono dipinti la faccia: una metà rappresenta un teschio. Anche le immagini, in questo contesto, lanciano messaggi inequivocabili: «Sono qui con i miei compagni del liceo artistico Lisippo – spiega Serena – ci siamo organizzati tramite il web, soprattutto Facebook, ma abbiamo tenuto anche diverse assemblee. Siamo in tanti». Il perché del teschio non avrebbe bisogno di grandi motivazioni, ma Serena ci tiene a precisarlo: «Mi sono truccata così perché è questa la fine che faremo».

Confusa tra i giovani c’è anche una signora di mezza età: «Sono qui soprattutto in veste di mamma – dice Cinzia, mentre intorno a lei si alzano dei cori da stadio – ci sono troppi bambini ammalati e adulti che soffrono. Non si può andare avanti così. È arrivato il momento di cambiare. La bilancia non può pesare sempre dalla parte dell’economia e dell’occupazione, è arrivato il momento di far pesare il piatto della salute». E sulle responsabilità non ha dubbi: «Anche le istituzioni hanno le loro colpe: avrebbero dovuto fare delle scelte per tutelare la popolazione, ma hanno preferito difendere altri interessi». «In passato il procuratore Sebastio aveva lamentato un’assenza da parte della cittadinanza – mette in evidenza Angelo – ora, però, questa assenza comincia ad essere colmata. C’è un maggiore fermento da parte dell’associazionismo e anche la voglia di partecipare è in continua crescita».

Camminando lungo il fiume umano è evidente la convivenza tra diverse anime: da quella più silenziosa a quella più vivace. Diverse modalità di espressione che hanno come filo conduttore un atteggiamento pacifico. Le forze dell’ordine rimangono distanti e inoperose. «Ogni persona decide di manifestare come meglio crede – evidenzia Alessio – l’importante è testimoniare la nostra voglia di giustizia senza scadere nella violenza». Le persone più grandi restano ai margini, quasi stordite dall’entusiasmo che proviene da quella massa umana formata da ragazzi. «La verità è che l’inquinamento riguarda soprattutto la nostra generazione – ci dice una studentessa – siamo noi che dobbiamo guidare il cambiamento».

Alessandra Congedo (Corriere del Giorno)

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