Ilva, bugie in eurovisione
TARANTO – La mini inchiesta di Tv7, parte inevitabilmente dal quartiere Tamburi, dai suoi cittadini e dal cimitero San Brunone, protagonista inconsapevole con le sue tombe e le sue cappelle rivestite della “magica polverina” (rosa o rossastra che sia), proveniente dall’Ilva e dai suoi quattro parchi minerali a cielo aperto che l’azienda siderurgica ancora oggi si rifiuta di voler coprire per una mera questione economica, che da decenni invade un intero quartiere.
Chissà cosa avranno pensato i telespettatori nel vedere con i loro occhi che a Taranto, nemmeno un luogo come il cimitero, i suoi defunti ed il suo dolore riescono a riposare in pace. Chissà cosa avranno pensato nel vedere la polvere rossa che “colora” le strade, i palazzi e le macchine del rione Tamburi, ed i suoi abitanti che seppur feriti, orgogliosi lì restano e con pazienza ogni giorno trovano la forza per pulire balconi e finestre, avviando e riavviando continue lavatrici per far sì che i panni asciutti poi non prudano troppo a contatto con la pelle per via di quella polverina che ovunque si insinua. E chissà cosa avranno pensato gli italiani nel guardare le immagini di quelle decine di operai che si danno il cambio alle 15 di ogni pomeriggio.
Uomini di ogni età che silenziosi filano via dal mostro d’acciaio, per tornare nelle loro case dove ad accoglierli ci saranno quei figli che, come uno di loro dichiara alle telecamere, mai manderebbero a lavorare sotto l’ombra dei 200 camini dell’industria siderurgica più grande d’Europa. Chissà se i telespettatori saranno riusciti a cogliere in tutta la loro evidenza, i clamorosi errori e le imperdonabili negligenze e connivenze di decenni di politica tarantina, che nel 2012 costringe migliaia di persone a dichiarare ancora che, nonostante tutto, all’Ilva devono pane e lavoro per le loro famiglie, altrimenti non saprebbero dove andare a lavorare. Come se Taranto vivesse una sorte di punizione divina da dover scontare per l’eternità a cui nessuno pare voglia scrivere la parola fine.
E chissà cosa avranno pensato quando la parola è passata all’ingegner Adolfo Buffo, Rappresentante della Direzione per la Qualità, l’Ambiente e la Sicurezza dell’Ilva. Il quale non ha avuto timore di mostrare il vero volto dell’azienda della famiglia Riva alle telecamere della Rai: realtà che solo le nostre istituzioni continuano volutamente ad ignorare, perché colpiti irrimediabilmente da quell’invisibile malattia che contraddistingue la politica di questo paese, costruito sin dalla sua unità intrecciando fili invisibili, interessi di ogni tipo e stringendo patti di “acciaio” con l’imprenditoria, con i sindacati, con i così detti poteri forti ma invisibili che continuano a tirare dritto per la loro strada, nonostante abbiano sulla coscienza la storia e lo scempio ambientale e non di un paese intero.
E’ proprio per tutti questi torbidi motivi, che anche di fronte all’evidenza di una perizia che inchioda l’Ilva alle sue innegabili colpi e responsabilità, siamo costretti ancora una volta ad ascoltare queste parole: “La perizia redatta dai periti è molto complessa ed è ancora presto per trarre delle conclusioni. Ma è per noi motivi di vanto leggere che lo stabilimento rispetta tutti i limiti di legge (ma solo per quanto riguarda i rilevamenti fatti dal gestore e per le quattro campagne annuali di Arpa Puglia). Cosa che per noi non è una novità, visti i 4,5 miliardi spesi dal 1995 a favore della tecnologia e per rendere compatibile lo stabilimento da un punto di vista ambientale“. Ma il gioco, in cui rischia di cadere anche la Rai, è sempre lo stesso: omettere la verità, tagliare le frasi a metà, confondere le acque di una relazione di 554 pagine, che, strano a dirsi per lavori del genere, contiene il dono di una chiarezza accessibile a tutti.
Talmente chiara che sarebbe bastato controbattere leggendo all’ing. Buffo quanto scritto dagli stessi periti ad un certo punto della relazione: “Poiché allo stato attuale alle emissioni derivanti da questi impianti non sono installati i sistemi di controllo in continuo né viene verificato il rispetto dei limiti dei parametri inquinanti previsti dal D.M. 5 febbraio 1998 sopra detti, tali emissioni non risultano conformi a quanto previsto dalla normativa nazionale. Inoltre poiché ai suddetti camini non sono installati i sistemi di controllo in continuo alle emissioni, non c’é alcun elemento che dimostri il rispetto dei limiti“. Punto. Il resto sono chiacchiere da bar. Buone per l’Ilva, per i politici, per gli industriali e i sindacati. Certamente non per noi.
Poi, però, di fronte alla domanda della giornalista della Rai sui tanti casi di malattie e morti registrate nel capoluogo ionico, per la prima volta l’Ilva decide di “schierarsi” dalla parte della medicina. “L’unico strumento al quale dovremo affidarci è il registro tumori: il resto dei numeri di cui si parla continuamente hanno la stessa valenza di quelli dati al lotto“. Posizione furba quella dell’Ilva, visto che i Riva sanno fin troppo bene che quel registro parte dal 2006 (provare a fare giustizia sino al 31 dicembre 2005 sarà in pratica impossibile) ed è ancora in fase di completamento per quanto riguarda gli anni 2007 e 2008.
Ma nello stesso tempo “strana”, visto che proprio quel registro potrebbe rivelarsi un vero e proprio boomerang per un’azienda che immette in atmosfera 668 tonnellate di polveri all’anno, in una città ed in una Provincia che come testimoniano i dati del 2006 del suddetto registro, “vanta” un’incidenza di malattia alla pleura (tumore molto raro) ed ai polmoni molto alta rispetto al resto del paese. Ogni anno a Taranto si ammalano 433 persone di tumore. Ogni anno 1800 soggetti muoiono per tutte le cause, di cui 200 per tumore del polmone.
Dunque, affidarsi al registro tumori in fase di completamento non pare essere una mossa chissà quanto strategica. Alla fine il servizio si chiude con troppa poca speranza per chi guarda. Come se non esistesse un’alternativa, un’altra via, un altro futuro ed un’altra Taranto possibile. Che in realtà esiste, anche se forse è ancora chiusa nelle menti e nei cuori di quelle persone e di quei ragazzi che hanno deciso di restare per lottare e provare a cambiare il futuro di questa città. Che non si arrenderanno, come noi del resto e resteranno in piedi sino all’ultimo respiro: l’Ilva e la politica tarantina si rassegnino.
Gianmario Leone