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A Roma porte chiuse – Viaggio a vuoto per Florido e Stefàno

La missione romana del presidente della Provincia Gianni Florido e del Sindaco di Taranto Ippazio Stefàno, è stata un mezzo flop. Dopo aver incontrato nella giornata di mercoledì il capo di gabinetto del ministero dello Sviluppo economico, Mario Torsello, ieri mattina i nostri rappresentanti istituzionali hanno inviato una lettera al ministro Corrado Passera, nella quale viene formalizzata la richiesta dell’istituzione di un Tavolo di confronto per l’area tarantina sui temi del risanamento ambientale e dello sviluppo.

Dunque, dopo una conferenza stampa, una Consulta dello Sviluppo ed un incontro preliminare con uno sconosciuto capo di gabinetto di un ministero, Florido e Stefàno si sono recati a Roma per “inviare” una lettera al Ministro Passera. Immaginiamo i nostri prodi aggirarsi in via Molise, sede del ministero nella Capitale, alla ricerca della cassetta delle lettere più vicina, mentre in perfetto stile Totò e Peppino si tengono sotto braccio per non rischiare di scivolare rovinosamente a terra, vista la tanta neve e il ghiaccio di questi giorni a Roma.

A parte le battute, non è certamente un buon segnale il fatto che Florido e Stefàno non siano stati ricevuti personalmente dal Ministro Passera: immaginiamo che la scrivania del ministro sia piena di lettere di sindaci, presidenti di Provincia o di Regione, che scrivono per ricevere attenzione da parte del Governo in un momento di grave crisi economica come quello attuale. Così come temiamo che il lungo documento partorito lunedì scorso dalla Consulta dello Sviluppo e consegnato nelle mani del diligente capo di gabinetto del ministro, venga protocollato e chiuso in chissà quale cassetto di chissà quale scrivania nella sede di via Molise. E si badi bene: il nostro non è pessimismo o disfattismo spicciolo.

Soltanto l’amara constatazione che quello che viene fatto oggi, andava pensato e preteso molti anni fa. Del resto, non possiamo di certo credere che Comune, Provincia e tutti gli enti che fanno parte della Consulta dello Sviluppo, si siano accorti soltanto nel 2012 della grave situazione in cui versa Taranto ed il suo territorio. Sono infatti gli stessi Florido e Stefàno a ripetere ancora una volta nella lettera inviata al Ministro, come Taranto sia una delle città industriali più importanti in Italia da oltre un secolo e che per questo, dopo aver dato tanto, ora pretende che gli venga restituito con gli interessi il mal tolto ed anche nel più breve tempo possibile.

Ma l’impressione è che i nostri abbiano fatto male i conti (storici e più strettamente elettorali localmente parlando). Soprattutto, rischiano di incorrere in una brutta figura nel caso in cui il ministro Passera si prenderà la briga di rispondere loro. Perché se è vero che fu Roma ad individuare Taranto come sede migliore per il più grande Arsenale e base della Marina Militare italiana, è altresì vero che in oltre 100 anni di storia nessuno dei nostri amministratori si è preso la briga di andare a bussare dai vertici militari presenti in loco per stabilire un contatto con essi e soprattutto per pretendere da essi il massimo rispetto.

Abbiamo permesso alla Marina Militare di fare ciò che più ha voluto, inquinando e di fatto compromettendo forse per sempre il nostro Mar Piccolo. Le abbiamo lasciato per oltre un secolo intere zone della città, che ci restituiranno soltanto se cederemo all’odioso ricatto del “do ut des”. Per concludere in bellezza, nonostante sappiamo siano i principali colpevoli dell’inquinamento da Pcb del Mar Piccolo, chiediamo loro anche il permesso di andare ad occupare alcune zone di Mar Grande, per spostare gli allevamenti di mitili, da sempre fiore all’occhiello dell’economia locale. E, non contenti, consentiamo loro di decidere quanti metri quadrati del nostro mare possiamo consegnare ai mitilicoltori.

Stesso discorso andrebbe fatto per l’industria siderurgica. Forse in molti dimenticano che a fine anni ’50, la nostra classe dirigente fece i salti mortali per portare qui l’Italsider e salire così sul grande carrozzone del boom economico italiano degli anni ’60. Ci fu chi addirittura, preso da un entusiasmo incontrollabile, arrivò a dire che pur di avere l’Italsider, avremmo consentito a Roma di costruire le ciminiere in Piazza della Vittoria, salotto della città. Eppure ci sono documenti di fine anni ’60 (che presto pubblicheremo), che dimostrano come già all’epoca la Provincia di Taranto era a conoscenza dell’inquinamento prodotto dai camini del siderurgico.

Le cose non cambiarono nemmeno quanto nel 1995 arrivò la famiglia Riva, trasformando al pubblica Italsider nella privata Ilva: per anni e anni le nostre istituzioni, la classe dirigente ed imprenditoriale, i mass media locali, i sindacati e via dicendo, hanno preferito stringere rapporti “sinergici” e di grande interesse economico con la famiglia Riva, distogliendo lo sguardo dai gravi problemi di inquinamento. Ed oggi appare un po’ vigliacco farsi scudo della perizia della Procura, per pretendere rispetto delle regole e limiti di emissioni. Stesso identico discorso vale per l’Eni e la Cementir: qui nessuno è venuto ad imporre nulla con la forza o l’esercito: abbiamo regalato una città ed un territorio alla grande industria, non muovendo un dito e consentendo loro di fare ciò che più hanno voluto, ed ora andiamo a battere cassa a Roma? E con quale titolo? Con quali pretese?

Chiediamo progetti e fondi ingenti per avviare le bonifiche, quando Comune, Provincia, Regione e Consulta dello Sviluppo hanno dato il loro benestare ai nuovi progetti della grande industria, che non portano lavoro in più e di certo non emetteranno nell’aria fiori o essenze profumate. Per non parlare del fatto che qualcuno dovrebbe spiegare che fine hanno fatto i 36 milioni stanziati da Ministero dell’Ambiente e Regione Puglia nel 2006 proprio per la bonifica del Mar Piccolo. Così come qualcuno dovrebbe spiegare perché la Regione Puglia, dopo aver stanziato 56 milioni di euro per la bonifica dei Tamburi, da un giorno all’altro ha deciso di dirottare quei fondi per finanziare progetti a Brindisi. Dove erano i nostri politici, i sindacati, gli imprenditori quando avveniva tutto questo?

Attendiamo da anni il decollo di Porto e Aeroporto, accusando Bari e la Regione Puglia di volerci escludere dai giochi: ma qualcuno sarebbe così gentile da dirci cosa hanno fatto negli ultimi 60 anni i nostri politici a Bari e a Roma per difendere gli interessi di Taranto e dei tarantini? Vogliamo un ruolo primario per le aziende tarantine oggi allo stremo, sapendo però che dopo i decenni di età dell’oro vissuti all’ombra di Ilva ed Eni, proprio queste ultime hanno escluso dall’indotto decine di imprese gestite da imprenditori tarantini. E così via, potremmo stilare una lista infinita.

Infine, ci indigniamo per l’elevatissima disoccupazione giovanile e la fuga di tantissimi giovani da Taranto verso il Nord. Per questo, basta andare a riprendere una frase dell’onorevole Patarino, che in un incontro al nostro giornale alcuni mesi fa, alla domanda “cosa ha fatto la politica tarantina negli ultimi sessant’anni per evitare la fuga di massa dalla nostra città e dalla nostra Provincia”, rispose testualmente: “Ad essere sinceri, assolutamente nulla”. Tanto basta.

 Gianmario Leone

g.leone@tarantooggi.it

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