La “marcia” su Roma di Florido e Stefàno

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TARANTO – “Protagonismo locale, sostegno regionale e nazionale per una stagione di risarcimento al servizio del risanamento e dello sviluppo dell’area ionica”. E’ questo il titolo del documento di quattro pagine redatto dalla Consulta dello Sviluppo nella giornata di ieri, che quest’oggi il sindaco Stefàno e il presidente della Provincia Florido consegneranno personalmente nelle mani del ministro dello Sviluppo Economico e delle Infrastrutture e Trasporti, Corrado Passera.

Quella che nelle intenzioni della Consulta dovrebbe essere la nuova “Vertenza Taranto”, poggia su tre direttrici ben precise: il risanamento ambientale e le bonifiche (Mar Piccolo e Tamburi in primis); responsabilità sociale delle imprese operanti sul territorio, Marina Militare compresa (per quanto concerne il nodo delle aree demaniali); quantificazione e destinazione di investimenti a supporto di politiche occupazionali.

Il problema è che le “belle” intenzioni finiscono qui: perché il documento ideato da Comune, Provincia, Assindustria, Camera di Commercio, Autorità Portuale e sindacati (Cgil, Cisl e Uil), è una sorta di relazione descrittiva sugli ultimi 120 anni di storia della città di Taranto, che sembra scritta da chi si trova oggi nella condizione di dover fare i conti per la prima volta con una situazione sociale, economica e ambientale critica, creata però da terzi e sulla quale nessuno pare avere una diretta e chiara responsabilità.

A confermare questa tesi è proprio l’incipit del documento, quando si legge che “l’area ionica tarantina è stata investita da alcune importanti decisioni assunte dall’allora nascente Stato unitario e poi confermate dalla classe politica italiana: ci riferiamo, in particolare, alla costruzione dell’Arsenale militare, allo sviluppo della cantieristica navale, agli insediamenti di importanti opifici come la siderurgia e il comparto della raffinazione. A ciò si aggiunga la presenza della Marina Militare con strutture logistiche di primissimo piano e la base navale che fa del capoluogo ionico l’avamposto dell’Italia nel Mediterraneo”.

Come se fosse stato lo Stato italiano ad aver imposto con la forza alla città di Taranto, di trasformarsi in città militare ed industriale, e non la politica locale ad aver accettato l’insediamento dei grandi siti industriali pur di salire sul treno del boom economico italiano, snaturando e svendendo, forse per sempre, la storia di un intero territorio. Il documento, poi, è sin troppo morbido nell’affrontare le conseguenze di tutto ciò. Si parla ad esempio di “risultati piuttosto apprezzabili dal punto di vista sociale ed economico”, ma anche di “pesanti effetti sul piano della sostenibilità ambientale”. E che sempre per “colpa” di decisioni assunte dall’alto, è stata “seriamente compromessa l’opportunità di impiegare quelle risorse naturali del territorio sottoposte per decenni ad uno sfruttamento massivo a fini industriali”. Ma non sono i politici e i sindacati a ripeterci da anni che questa è una città a “vocazione industriale”?

Saranno per caso rinsaviti all’improvviso? Dopo questa prosaica introduzione, viene stilato un lungo elenco di progetti da avviare, che ripercorrono le tre direttrici di cui sopra: il problema è che non si capisce bene chi si debba prendere la responsabilità nell’avviarli per inaugurare questa “nuova e condivisa stagione di risanamento”. Che servirà, manco a dirlo, per “affrontare con nuovi strumenti e maggiore consapevolezza il tema della eco-compatibilità”. Il documento continua poi battendo sul tasto del risanamento e della bonifica del mar Piccolo, senza specificare né i tempi né le metodologie, né chi dovrebbe pagare per un intervento del genere, nonostante da tempo si conoscano i colpevoli. Ignorando volutamente di citare i finanziamenti che nel 2006 Ministero dell’Ambiente e Regione Puglia stanziarono (36 milioni di euro) proprio per la bonifica del Mar Piccolo. Oppure si continua a parlare di riqualificazione e restituzione alla comunità ionica delle aree demaniali, sia civili che militari, dismesse o in fase di dismissione, quando si sa benissimo che la Marina Militare continua a ragionare in maniera unidirezionale seguendo l’arrogante principio del “do ut des”.

Si nominano presunte “bonifiche dei siti industriali sulla scorta dei programmi riservati alle zone classificate come Siti di interesse nazionale (Sin)”, senza specificare di quali zone e di quali aziende si stia parlando. Si torna inoltra nuovamente a parlare della “riqualificazione del rione Tamburi di Taranto” in cui deve essere coinvolta la Regione Puglia, pur sapendo benissimo che i 56 milioni di euro stanziati anni fa, furono poi dirottati per aiutare lo sviluppo della Provincia di Brindisi. Si parla di “responsabilità sociale d’impresa per quelle aziende dovrebbero “prendersi cura” delle comunità nelle quali operano, adottando un comportamento socialmente ed eticamente accettabile, contribuendo attivamente al benessere sociale delle comunità interessate”: peccato che nessuno degli scriventi si sia mai dedicato negli ultimi 120 anni a che ciò accadesse realmente. Per non parlare poi della favole sul “ruolo di primissimo piano che dovrebbe svolgere il polo universitario ionico al fine di valorizzare al meglio l’economia della conoscenza”. Taranto chiede dunque “alle istituzioni regionali e nazionali di riservare un’attenzione particolare alle proposte contenute in questo documento”: ma quali sono questa proposte non è dato sapere.

Si giudica “determinante” il ruolo del sistema imprenditoriale locale, ignorando volutamente come oramai le tante aziende presenti sul territorio, siano state definitivamente estromesse dagli indotti di Eni e Ilva (che per decenni hanno fatto le fortune di migliaia di imprese locali), a cui oramai non resta che sperare nella realizzazione dei nuovi progetti in ballo (centrale Enipower, “Tempa Rossa” e “Nuova Taranto” della Cementir), per accontentarsi delle briciole. Si nominano come stelle polari del futuro dell’economia ionica il Porto e l’aeroporto di Grottaglie, quando per anni e anni la nostra classe dirigente non è stata in grado di fare fronte comune e opporsi a quel fenomeno che la politica tarantina oggi definisce col satanico termine del “baricentrismo”.

Detto tutto ciò, la conclusione è un degno “scarica barile” tipico della nostra bassa cultura politica ed economica: “Senza il contributo dei più alti livelli istituzionali (Regione Puglia e Governo nazionale) sarà impossibile concretizzare le numerose opportunità di sviluppo. Se le dichiarazioni di intenti si trasformeranno in assunzione di responsabilità, allora Taranto e la sua Provincia potranno raccogliere i frutti di questa intensa e condivisa azione di concertazione e programmazione portata avanti in questi ultimi mesi dalla Consulta per lo sviluppo”. In pratica, scaricano sugli altri la responsabilità sul come e sui tempi di ciò che sarà fatto, ma si ascrivono il merito di aver “scritto” e “pensato” questo nuovo manifesto futurista. Chiosa finale: “Occorre che lo Stato e la Regione Puglia facciano fino in fondo la loro parte”. E voi, cari signori illuminati e scrivani, quando inizierete a fare la vostra per questa città?

 Gianmario Leone

g.leone@tarantooggi.it

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