“Le conclusioni dei periti sono di grande rilevanza” – continuano i due esponenti di Legambiente – “in quanto affermano che nello stabilimento non sono adottate “tutte le misure idonee ad evitare la dispersione incontrollata di fumi e polveri nocive alla salute dei lavoratori e di terzi”. Sono inoltre di estrema importanza sia rispetto al ricorso al TAR inoltrato dall’azienda, sia rispetto alle misure da assumere per far fronte all’emergenza PM10. Da esse vengono infine conferme sulla denuncia effettuata a giugno da parte del NOE in merito al fenomeno dello “slapping” in acciaieria”.
I periti, inoltre, non si limitano ad evidenziare i punti deboli dei vari impianti Ilva, ma indicano gli interventi necessari per ridurne il carico inquinante. In merito alla diossina, ad esempio, l’attenzione deve essere rivolta all’efficacia degli elettrofiltri installati sull’agglomerato per impedire la dispersione delle polveri captate e alle modalità di smaltimento delle stesse nelle discariche interne. Le polveri, in base al loro livello di contaminazione da diossina, sono destinate a differenti tipologie di discariche. Non risulta però che vengano effettuati adeguati controlli nel merito. Tali questioni, già sollevate dalle associazioni in sede di procedimento per il rilascio dell’AIA, sono state ignorate dalla commissione IPPC e dal Ministero dell’Ambiente i quali, nella versione definitiva dell’AIA, hanno eliminato la prescrizione riguardante “il controllo sistematico delle ricadute al suolo dei microinquinanti“.
Circa la mancata adozione di tutte le misure idonee ad evitare le emissioni fuggitive, le risposte dei periti confermano le critiche, rivolte da Legambiente all’AIA rilasciata all’Ilva. La commissione IPPC ed il Ministero dell’Ambiente hanno infatti scandalosamente eliminato o sminuito importanti prescrizioni contenute nei documenti presentati in fase istruttoria come “l’adozione di un sistema di monitoraggio ad alta risoluzione temporale lungo il perimetro della cokeria“ (eliminata); “lo studio per la riduzione delle emissioni diffuse e fuggitive” (confermato ma finalizzato non più al raggiungimento dell’80 % ma del 50 % di diminuzione delle stesse emissioni e comunque senza fissare un termine temporale per il raggiungimento degli obiettivi); Commissione IPPC e Ministero hanno inoltre modificato in maniera inaccettabile i criteri di valutazione dei tempi delle emissioni visive, svuotando di fatto la portata della prescrizione riguardante “l’istallazione di un sistema di monitoraggio a videocamera in varie postazioni strategiche all’interno dello stabilimento”.
Tutte prescrizioni rivendicate da Legambiente e che avrebbero potuto tenere sotto controllo le emissioni non convogliate dai vari impianti. Su questo tema la perizia, riportando dati preoccupanti anche per i parchi minerali, rende ancora più stringente la necessità di procedere alla loro copertura per far fronte all’emergenza PM10. Le Istituzioni interessate non possono non tenerne conto.
Dalla perizia emergono altri dati, come la differenza anche notevole delle prestazioni ambientali tra una batteria e l’altra, che impongono di allineare le suddette prestazioni a quelle migliori rilevate e l’installazione da parte dell’Ilva del sistema di abbattimento delle emissioni convogliate dai camini della cokeria. Una prescrizione prevista nell’AIA (tra le poche rigorose) ma che l’azienda tenta di eliminare con il suo ricorso al TAR cui Legambiente ha presentato opposizione. Non va sottovalutato, infine, che le conclusioni dei periti possono fornire ulteriori elementi a sostegno delle eventuali vertenze dei lavoratori in tema di salute e sicurezza nonché delle richieste di risarcimento per danni subiti a vario titolo a causa delle emissioni inquinanti dello stabilimento siderurgico.
Comunicato stampa di Legambiente
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