Ilva, Eni e il dovere dell’obiettività
TARANTO – C’è chi, nei giorni scorsi, ha fatto presto a liquidare la maxi perizia sull’inquinamento Ilva messa a punto dagli esperti incaricati dal gip Patrizia Todisco. “Valori nei limiti”, ha sentenziato qualcuno con troppa leggerezza. Pratica archiviata. E pazienza se oltre 2mila capi di bestiame sono stati abbattuti perchè contaminati dalla diossina proveniente – secondo gli esperti – proprio da alcuni impianti del siderurgico. E pazienza pure se un settore prezioso per il nostro territorio come quello zootecnico è finito sul lastrico, se diversi allevamenti hanno chiuso, se tanti lavoratori hanno perso il posto.
Agli occhi di qualcuno questi sono dettagli di poco conto, davanti alla propagandata riduzione della diossina emessa dal camino E-312, con tutti i limiti legati al monitoraggio che ben conosciamo. In questo periodo, per uno strano “disturbo visivo”, alcuni (tra i media) riescono a vedere solo le colpe dell’Eni, recentemente “incastrata” da una relazione di Arpa Puglia che mette nero su bianco le responsabilità della Raffineria rispetto alla puzza di gas avvertita lo scorso 17 gennaio (ma noi non dimentichiamo uno studio effettuato da Arpa Puglia nel 2009, che già denunciava tali responsabilità: https://www.inchiostroverde.it/news/eni-e-cattivi-odori-i-risultati-di-unindagine-condotta-da-arpa-puglia.html).
Chi ha davvero letto le conclusioni della relazione sull’Ilva si è ritrovato davanti ad uno scenario che fa rabbrividire. Tanto per cominciare, è ormai evidente che una delle pecche principali sottolineate dagli esperti è rappresentata dalle emissioni non convogliate che si originano dai diversi impianti dello stabilimento. Si fa riferimento, infatti, ad una “quantità rilevante di polveri che viene rilasciata dagli impianti, anche dopo gli interventi di adeguamento”. Così come si evince che non ci sarebbe certezza sul rispetto dei limiti previsti dalla legge, particolare evidenziato a pagina 534 e riportato in un nostro articolo precedente: https://www.inchiostroverde.it/news/inquinamento-made-in-ilva-ecco-cosa-dicono-i-periti-chimici-incaricati-dal-gip-todisco.html.
In merito alla quantità di polveri che fuoriesce dall’acciaiaieria “determinata dal fenomeno di slopping, documentato sia dall’indagine dei periti che dagli organi di controllo”, gli esperti dicono chiaramente cosa bisognerebbe fare: “è necessario che la ditta adotti ulteriori misure di contenimento dando la priorità alla riduzione delle emissioni contenenti sostanze pericolose e metalli”. A supporto di tali affermazioni vengono riportate tabelle con i risultati di monitoraggi e prelievi condotti all’interno dello stabilmento di materiale massivo ed aria ambiente che dimostrano “la presenza significativa di sostanze pericolose e metalli nelle emissioni diffuse incontrollate dall’attività produttiva”.
L’attenzione degli esperti si focalizza proprio sulle emissioni diffuse, che comprendono quelle provenienti dagli stoccaggi a cielo aperto di materiali pulverulenti, e su quelle fuggitive. determinate, ad esempio da difetti di tenuta in apparecchiature che operano con fluidi gassosi. In merito al futuro stoccaggio di pet-coke, autorizzato dal recente decreto Aia, gli esperti non usano giri di parole e avvertono: “per sue caratteristiche e contenuto di microinquinanti particolarmente critici (ad es. Ipa), costituirà un ulteriore elemento di aggravio dello scenario emissivo relativo al parco stoccaggi”. Tanto che, a parere dei periti, la realizzazione di questo nuovo stoccaggio dovrebbe essere subordinata alla copertura dello stesso, valutando anche la successiva applicazione di aspirazione e trattamento delle emissioni generate.
Medesima preoccupazione viene rivolta nei confronti del deposito, della movimentazione e del trasferimento di tutti quei materiali che potenzialmente possono generare emissioni in atmosfera contenenti sostanze inquinanti, anche in considerazione dell’attuale impatto prodotto da esse: ben 668 tonnellate di polveri per anno, immesse in atmosfera. Dato ancora più inquietante se si considera la vicinanza tra il Parco stoccaggi e un centro abitato come il quartiere Tamburi.
Tra le emissioni diffuse vengono segnalate le torce dello stabilimento per le quali il decreto Aia ha prescritto modalità di monitoraggio in continuo della portata e delle caratteristiche qualitative del gas inviato in torcia. Durante l’accertamento, è scritto, questa modalità di monitoraggio non risultava attuata. Eppure, viene evidenziato, solo in questo modo la gestione delle torce sarebbe conforme a quanto previsto dalla normativa e permetterebbe di monitorare concretamente e in maniera efficace quanto finora è stato oggetto di stime, in particolare in merito all’efficacia della combustione del gas inviato alla stesse torce.
Di fondamentale importanza è anche il controllo delle emissioni fuggitive riconducibili in gran parte a difetti di tenuta nelle apparecchiature. Oltre ad un adeguamento, una ristrutturazione o la messa fuori servizio di quelle più critiche i periti ritengono necessario applicare protocolli vincolanti, come avviene in altri settori industriali, che prevedano interventi più stringenti quanto più pericolosi sono gli inquinanti coinvolti.
Questa è solo un’ulteriore sintesi della relazione, più che sufficiente per spingere qualsiasi tarantino a reagire, soprattutto se si trova a ricoprire un incarico pubblico. Ma quanti amministratori e politici leggeranno le pagine di questa “ingombrante” perizia? Quanti avvertiranno un pesante senso di colpa per tutto ciò che andava fatto per salvare la dignità, oltre alla salute, di un’intera comunità? Una cosa, però, è certa: al di là dei desideri di qualcuno, la pratica è aperta, oggi più che mai.
Alessandra Congedo