Diossina Ilva, Marescotti e Matacchiera: «I periti hanno confermato le nostre tesi»
TARANTO – «I periti della Procura hanno dato una risposta limpida ad una città inquinata che ha fame di giustizia e sete di verità. Con il linguaggio della scienza hanno scritto cose che pesano come macigni e ridanno speranza alla lotta per un futuro pulito». Così Alessandro Marescotti (Peacelink) e Fabio Matacchiera (Fondo Antidiossina Taranto) commentano le conclusioni degli esperti incaricati dal gip Patrizia Todisco nell’ambito dell’inchiesta sull’inquinamento che vede indagati i vertici Ilva. Riportiamo il resto del comunicato.
Al quesito “se i livelli di diossina e Pcb rinvenuti negli animali abbattuti e se i livelli di diossina e Pcb accertati nei terreni circostanti l’area industriale di Taranto siano riconducibili alle emissioni di fumi e polveri dello stabilimento Ilva”, la risposta degli esperti nominati dal Tribunale è affermativa.
DI CHI E’ L’IMPRONTA DIGITALE DELLA DIOSSINA CHE HA CONTAMINATO IL TERRITORIO?
I periti hanno cercato e trovato la cosiddetta “impronta digitale” della diossina. Era il passaggio chiave per individuare il principale responsabile di questo tipo di inquinamento cancerogeno che preoccupa un’intera comunità. La diossina infatti lascia una impronta particolare che consente di risalire all’inquinatore. Ogni fonte di inquinamento ha quindi la sua impronta, frutto di un “mix” di vari tipi di diossine e furani. L’impronta delle diossine e furani viene rappresentata con un grafico che assomiglia alle canne di un organo.
I periti hanno riscontrato notevoli similitudini tra l'”impronta digitale” delle diossine e dei furani delle deposizioni al suolo e l'”impronta digitale” delle diossine e dei furani delle “polveri degli elettrofilitri” del camino E312 dell’Ilva di Taranto.
In tutte le nostre conferenze e relazioni avevamo evidenziato questa correlazione, così evidente.
Ecco cosa sostenevamo da tempo.
Grafico 1
Grafico 2
Confronto tra i due grafici
Confronto tra i tre grafici
GRAFICO N.1 (IMPRONTA DIOSSINA SUOLO) E GRAFICO N.2 (IMPRONTA DIOSSINA ELETTROFILTRI ILVA)
Osserviamo il grafico n. 1: è quello delle deposizioni delle diossine nel quartiere Tamburi di Taranto. Per capire da dove provengono quelle diossine occorre trovare una “sorgente” con una “impronta digitale” simile. Noi abbiamo cercato fra tutte le possibili “impronte digitali” che potessero corrispondere a quella del grafico 1; l’impronta che ci è sembrata la più simile era l'”impronta digitale” delle diossine rinvenute nelle polveri degli elettrofiltri ESP-E (che sono alla base del camino E-312 dell’Ilva di Taranto). Tale “impronta” degli elettrofiltri la possiamo vedere nel grafico n. 2 che alleghiamo. Cosa si può notare?
RAFFRONTO 2 GRAFICI
ELEVATA CORRELAZIONE FRA DIOSSINA AL LIVELLO DEL SUOLO E DIOSSINA ELETTROFILTRI ILVA
Nell’immagine allegata “raffronto 2 grafici” le due impronte sono poste una affianco all’altra. Emerge una elevata correlazione fra il mix di diossine e furani che si deposita al suolo e il mix di diossine e furani degli elettrofiltri posti alla base del camino E312 dell’Ilva. Questo sostenevamo e questo confermano i periti della Procura.
Ma questa correlazione era confermata anche da Arpa quando scriveva: “La sovrapponibilità del profilo delle deposizioni con quello delle polveri ESP-E (prese ad esempio, ma lo stesso vale per ESP-D o MEEP E-D) è molto marcata ed è particolarmente evidente se si considerano i due congeneri Epta ed OctaCDD che nelle emissioni del camino E312 e nello stesso periodo (estate 2008) risultano di molto inferiori ai tetra, penta, ed esafurani. Pertanto, la presenza di diossine nelle deposizioni del quartiere Taranto Tamburi non è dovuta alle emissioni convogliate del camino E312, ma piuttosto alle emissioni diffuse/fuggitive provenienti dall’impianto AGL/2 dello stabilimento ILVA S.p.A”.
RAFFRONTO DEI TRE GRAFICI
L’ULTIMA IMMAGINE CHE ALLEGHIAMO E’ FONDAMENTALE PER CAPIRE SE ILVA HA AGITO NELLA LEGALITA’
Nell’immagine “raffronto 3 grafici” abbiamo aggiunto un terzo istogramma con l’impronta delle diossine delle polveri del camino E-312 dell’Ilva. Questa terza “impronta” (quella del camino Ilva) è differente. Questo grafico è fondamentale. Ci consente di comprendere se Ilva ha agito rispettando le norme di sicurezza e tutela ambientale. L’azienda sostiene di aver emesso diossina entro i limiti della legge nazionale (limite a 10000 ng/m3 calcolati in concentrazione totale) in vigore fino alla legge antidiossina (limite a 0,4 ng/m3 in tossicità equivalente). La evidente differenza di impronta fra “camino” e “deposizione al suolo” dimostra che l’impatto del camino è su un raggio geografico molto più ampio, mentre per capire la contaminazione dei territori circostanti occorre osservare la marcata la somiglianza fra “elettrofiltro” e “deposizione al suolo”. Con questo lavoro “alla Sherlock Holmes” di confronto fra le impronte digitali delle varie diossine abbiamo potuto risolvere l’enigma della contaminazione.
Cosa possiamo infatti concludere?
La diossina che ha contaminato l’ambiente attorno all’Ilva è correlabile – sulla base delle evidenze scientifiche raccolte – agli elettrofiltri (posti all’altezza del suolo) che dovevano essere sigillati e non dovevano avere alcuna dispersione di diossina nell’ambiente. Nessuna legge infatti consente a un’azienda di disperdere “al vento” – all’altezza del suolo – fumi e polveri contaminate provenienti dagli elettrofiltri inquinando l’ambiente circostante e la catena alimentare. Sarà molto difficile per l’azienda, a nostro parere, dimostrare che tutto questo è avvenuto rispettando le leggi ambientali che invece vietano la dispersione di emissioni cancerogene diffuse e fuggitive non efficacemente captate.
I periti della Procura hanno confermato in pieno la nostra tesi, basata su analoghe conclusioni dell’Arpa e frutto delle ricerche dei consulenti di parte che hanno affiancato gli allevatori nella difficile e complessa battaglia legale.
All’ottimo lavoro dei periti della Procura si è affiancato infatti il lavoro di ricerca dei consulenti di parte di alto profilo scientifico: il dott. Stefano Raccanelli, il chimico ambientale Vincenzo Cagnazzo e il dott. Emilio Gianicolo, statistico ed epidemiologo. Non va dimenticato l’impegno profuso con passione e dedizione dalla dott.ssa Daniela Spera, consulente di parte anch’ella. Questo pool di esperti hanno lavorato nell’interesse della città per dare un nome a chi ha inquinato. Importante è stato il contributo degli avvocati Sergio Torsella, Carlo Petrone e Teresa Mercinelli, impegnati in prima linea sul fronte della legalità ambientale.
Ormai è chiaro che, se più soggetti in maniera del tutto indipendente arrivano alla stessa conclusione, ci troviamo di fronte a solide evidenze scientifiche. Sono maturi i tempi per chiedere verità e giustizia.
Alessandro Marescotti
Presidente di PeaceLink
Fabio Matacchiera
Presidente Fondo Antidiossina Taranto