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Tempa Rossa, l’inganno di Santa Maria della Giustizia- Altri retroscena

TARANTO – Dobbiamo ammetterlo: questa volta nel tranello siamo caduti anche noi. E l’amarezza che proviamo nel constatarlo, non è tanto nell’esserci cascati, quanto nell’aver avuto l’ennesima conferma che in questa città, nel rapporto con le grandi industrie, tutto funziona al contrario. Da sempre. E così, alla fine di questa continua centrifuga in cui la verità viene abilmente nascosta in documenti “segreti” nemmeno fossimo ancora in piena Guerra Fredda, è obiettivamente difficile mantenere il giusto equilibrio nell’esprimere giudizi, qualità irrinunciabile per chi, come ad esempio questo giornale, ha deciso di intraprendere una lunga e faticosa battaglia di cui non sappiamo il finale, ma che certamente condurremo sino alla fine, andando sempre alla ricerca della verità.

Piccola premessa: quando nel 2009 l’Eni presentò il progetto della nuova centrale Enipower a turbogas da 240 MW, nelle compensazioni previste vi era anche la sistemazione a verde dell’area circostante la Chiesa di Santa Maria della Giustizia, che dal 1967 è stata “ingoiata” dagli enormi serbatoi della raffineria. Poi, in un secondo momento, si è preferito puntare su altro. Bene. Sicuramente molti di voi ricorderanno che lo scorso 20 settembre 2011, ci fu una conferenza stampa presso la Sede operativa di Taranto della Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici, alla quale tra gli altri partecipò anche il direttore della raffineria Eni di Taranto, Carlo Settimio Guarrata. La convocazione della stampa era dovuta alla presentazione alla città del concerto del gruppo jazz “The Jazz Set” del 23 settembre proprio presso il complesso monumentale di Santa Maria della Giustizia (sito in contrada Rondinella, a Taranto, S.S. 106 Jonica Taranto-Reggio Calabria al km 3). Un evento, visto che la Chiesa risultava abbandonata da oltre quattro secoli: l’Eni, main sponsor della serata, finanziò interamente il progetto.

L’arch. Augusto Ressa, responsabile della Sede operativa di Taranto della Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici, presentò l’evento come l’occasione per la città di riappropriarsi di un monumento preziosissimo per la sua storia e come ipotetico inizio di un nuovo rapporto tra la città e la grande industria. Il direttore della raffineria, invece, dichiarò cosa buona e giusta sovvenzionare tale evento, per “concedere” ai tarantini la possibilità di usufruire, almeno per una sera, di un bene architettonico appartenente alla loro storia e di come fosse giusto dare “visibilità al bello”.

Ora. Il problema è che abbiamo scoperto che queste parole non sono la verità. O, se volete, fanno solo da contorno alla realtà delle cose. Perché si dia il caso che quando lo scorso 27 ottobre è stato pubblicato sul sito del Ministero dell’Ambiente il decreto di VIA (num. Prot. 573) al progetto “Tempa Rossa”, come ultertiore allegato abbiamo trovato anche un parere a firma del Ministero per i Beni e le Attività Culturali datato 11 luglio 2011. Strano, direte voi. In realtà, la prima cosa che si apprende è che la compensazione prevista inizialmente per il progetto della nuova centrale Enipower, la sistemazione a verde dell’area circostante la Chiesa di Santa Maria della Giustizia, è finita nelle compensazione per il progetto di “Tempa Rossa”, come si evince dalla richiesta di compatibilità ambientale per il progetto datata 15/04/2010. Il 20/05/2010, la Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici per le provincia di Lecce, Brindisi e Taranto, risponde alla richiesta di tale parere con una nota datata 20/05/2010.

Nota nella quale, oltre a ricordare che tale richiesta da parte dell’Eni era pervenuta già per quanto concerneva la nuova centrale Enipower, la Soprintendenza sottolinea come l’area di accesso e visuale al mare è “oscurata” dalla presenza dei serbatoi della raffineria e che nel progetto di “mitigazione e compensazione”, debba essere previsto un “arricchimento con ulteriore impianto di appropriate essenze arboree”. Inoltre, viene specificato che è “auspicabile a titolo compensativo che la società richiedente contribuisca all’intervento di consolidamento e restauro del complesso demaniale, tuttora in corso di esecuzione a cura di questa Soprintendenza”. E qui le cose iniziano già a non tornarci più.

Perché quel 20 settembre non è stato detto che il sito monumentale di Santa Maria della Giustizia rientrava nelle compensazioni previste per la realizzazione del progetto “Tempa Rossa”? D’altronde, l’occasione era delle migliori visto che, appena il giorno prima, il 20 settembre (a volte la Storia si diverte a giocare con le date e le circostanze) il Ministro dell’Ambiente Stefania Prestigiacomo aveva appena firmato il decreto di compatibilità ambientale per il progetto “Tempa Rossa”. Inoltre, cosa alquanto folcloristica, nella nota del maggio 2010, la Soprintendenza supera se stessa, quando si legge che “l’Eni dovrà inoltre porre in essere ogni dispositivo ed applicare le più moderne tecnologie atte a contenere le emissioni di gas maleodoranti dall’impianto di raffineria che determinano, con frequenza, oggettivo limite alla permanenza prolungata all’interno dell’area monumentale”.

In pratica, da un lato di chiede all’Eni di circondare l’intero perimetro dell’area del sito con “appropriate essenze arboree”, in modo tale da impedire la vista degli ingombranti serbatoi e con essi anche del mare e dell’orizzonte, dall’altro si chiede addirittura di contenere le emissioni di gas ad una raffineria che solitamente invade un’intera città, in relazione ad un sito archeologico situato in mezzo ai serbatoi contenenti petrolio. Proseguendo nell’elenco dei vari uffici di competenza, mentre la “Direzione Regionale per i beni culturali e paesaggistici della Puglia” e la “Direzione Generale per l’antichità” non oppongono alcuna obiezione al progetto, la “Soprintendenza per i beni archeologici della Puglia” richiede almeno un “servizio continuativo di sorveglianza archeologica”, visto che se qualcuno se l’è dimenticato il sito monumentale di Santa Maria della Giustizia si trova in un comprensorio territoriale caratterizzato da “un’intensa frequentazione archeologica, riferibile ad epoche diverse”.

Ma la parola finale spetta ovviamente alla Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici per le provincia di Lecce, Brindisi e Taranto, la quale con due note (del 27/05/2011 e del 20/06/2011) conferisce al progetto “Tempa Rossa” il proprio assenso, previo ottemperanza delle prescrizioni stabilite. Che consistono nel “completamento delle opere di consolidamento e restauro dell’ala nord-est di epoca normanna; la revisione e l’incremento degli impianti interni ed esterni; la manutenzione ordinaria e straordinaria delle componenti consistente nella registrazione degli infissi, nella tinteggiatura di pareti e volte, nella revisione delle coperture; il completamento degli allestimenti dei blocchi servizi; la manutenzione ordinaria e straordinaria dell’alloggio del custode; la sistemazione della corte interna e dell’area nord, alle spalle della Chisea; la realizzazione di una recinzione lungo i confini Ovest e Sud, a chiusura dell’area di pertinenza esterna che conserva alcuni esemplari dell’antico uliveto”. Il tutto per una spesa di un milione di euro. Infine, i due righi che dimostrano che quel 20 settembre, Soprintendenza ed Eni recitarono un copione sul quale erano d’accordo da tempo: “A tal fine dovrà essere elaborato specifico progetto da parte dell’Eni previo accordi con questa Soprintendenza e sulla base di specifica convenzione da stipulare con la Direzione Regionale per i beni culturali e paesaggistici della Puglia”.

Ora, qualcuno ci dovrebbe spiegare che senso ha avuto omettere di spiegare alla città di Taranto quel 20 settembre, che quel concerto non era come invece dichiarato un singolo evento culturale sovvenzionato dall’Eni, ma un semplice passaggio di un iter che prevede un’operazione di “tutela” nei confronti di un sito archeologico come compensazione di un progetto come quello di “Tempa Rossa”. Vorremmo inoltre conoscere, sempre restando nel campo della “pubblica utilità” (come viene appunto considerato il progetto “Tempa Rossa”), come fa il Ministero per i Beni e le Attività Culturali a scrivere che “l’attuazione delle prescrizioni può consentire una positiva ricaduta per il medesimo territorio sia in termini di valorizzazione del complesso monumentale, sia in termini di fruibilità dello stesso da parte delle popolazioni locali”: ma voi davvero fate? O siamo all’interno di un gigantesco scherzo?

Ma i signori del ministero conoscono la disposizione della Chiesa in questione e di come essa sia inutilizzabile anche con se venisse ristrutturata e recintata con tanto di alberi? Sono mai passati da quel tratto della 106 ionica che 24 ore su 24 emana aria irrespirabile? In cosa dovrebbero consistere queste migliori tecnologie così all’avanguardia da catturare l’olezzo dei depositi di petrolio? E poi, di grazia: ma era proprio necessario mettere in piedi un teatrino del genere, pur di non dire come stessero realmente le cose? Ma davvero pensate che non arrivi mai il giorno in cui le carte saltano fuori e con esse le vostre omissioni? Una cosa, però, è certa: questo semplice episodio rivela ancora una volta come le nostre istituzioni e i loro rappresentanti, a qualunque livello essi si trovino, non sono e non saranno mai in grado di dire un onesto e semplicissimo NO. Che spesso è la più semplice e diretta parolina magica da usare per iniziare a cambiare davvero la Storia.

Gianmario Leone

g.leone@tarantooggi.it

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