Anche a livello locale, la politica e i sindacati preferiscono concentrare la loro attenzione più sulla centrale Enipower che sul progetto “Tempa Rossa”: d’altronde è molto più “facile” sostenere o contestare un progetto sulla “locale” raffineria, piuttosto che andare ad intaccare interessi petroliferi internazionali. Ma la colpa è anche di noi addetti all’informazione: troppe volte diamo per scontato che l’opinione pubblica conosca cose che a stento anche noi riusciamo ad apprendere. Errore di fondo che ha peraltro pesantemente condizionato il movimento ambientalista tarantino, che per anni ha parlato un linguaggio incomprensibile ai più. Ed allora, proviamo a fare quanta più chiarezza possibile: per il bene di tutti. Per fare ciò, partiamo da una semplicissima e banalissima domanda: cos’è in realtà “Tempa Rossa”? Tempa Rossa è un giacimento petrolifero nell’alta valle del Sauro situato nel cuore della Basilicata, che ricade in gran parte sul territorio del Comune di Corleto Perticara (PZ), a 4 km dal quale verrà costruito il futuro centro di trattamento. I cinque pozzi già perforati si trovano anch’essi sul territorio del paesino lucano, mentre il sesto pozzo, i cui lavori di perforazione sono in corso, si trova nel Comune di Gorgoglione Altri due pozzi saranno perforati a partire proprio da quest’anno nell’area di Corleto Perticara. L’area dove verrà realizzato il centro di stoccaggio GPL si trova invece nel Comune di Guardia Perticara.
Un progetto economico di rilevanza mondiale in un paesaggio da sogno
Il giacimento Tempa Rossa, scoperto nel 1989 dalla Fina (società belga poi assorbita dalla Total che a sua volta nel 2002 ottenne dall’Eni la cessione della partecipazione del 25% detenuta da Eni nella concessione Gorgoglione dove è ubicato il giacimento di Tempa Rossa), possiede una “speciale” particolarità: non solo per la natura degli idrocarburi presenti nel sottosuolo (oli pesanti da 10 a 22 API e presenza di zolfo) ma anche e soprattutto per il suo contesto ambientale: esso infatti si trova tra il parco regionale di Gallipoli Cognato e il parco nazionale del Pollino, dunque proprio nel cuore della Basilicata.
Quel tratto di terra possiede un alto valore turistico per la straordinaria bellezza e naturalezza dei suoi paesaggi dalla natura incontaminata, estendendosi su un territorio geologico contraddistinto anche da una sismicità da non trascurare e di una rete idrogeologica complessa. Stiamo parlando di oltre 4.200 ettari di boschi e rocce, macchia mediterranea, oltre a corsi d’acqua sotto forma di torrenti e sorgenti. A tutto questo va aggiunto un patrimonio archeologico di primissimo piano. Ma questa è solo la descrizione di ciò che la natura ha regalato agli uomini in superficie: perché ciò che interessa davvero è quello che si trova nelle viscere.
Nel sottosuolo lucano è infatti custodito uno dei principali giacimenti petroliferi europei su terraferma: allo stato attuale il 78,5% della produzione italiana di greggio su terra proviene dalla Basilicata. Quando l’impianto lavorerà a pieno regime, avrà una capacità produttiva giornaliera di circa 50.000 barili di petrolio, 250.000 m³ di gas naturale, 267 tonnellate di GPL e 60 tonnellate di zolfo. Non è un caso dunque, che lo sviluppo del progetto “Tempa Rossa” veda interessati due tra i più grandi gruppi petroliferi mondiali. Al fianco di TOTAL E&P Italia, operatore incaricato dello sviluppo del progetto, figura infatti anche la Shell (25%) e la Exxon Mobil (25%) tra le compagnie americane di petrolio più importanti al mondo. Ma oltre a ciò, forse in pochissimi sanno che “Tempa Rossa” è l’unico progetto italiano considerato dalla banca d’affari Goldman Sachs tra i 128 progetti più importanti al mondo in fase di attuazione o ancora sulla carta, “capaci di cambiare gli scenari mondiali dell’energia estrattiva”.
La Goldman Sachs di New York (che ha sedi in tutto il mondo) è una delle banche più importanti e influenti del mondo. Che negli uffici di questo istituto si sia parlato di “Tempa Rossa” lascia molto da pensare. Non sorprende, invece, il cinismo di queste grandi multinazionali e banche di livello mondiale, che continuano a piantare le loro bandierine sul globo terrestre in qualunque territorio essi trovino vantaggio per i loro interessi, che quando poi presentano alle istituzioni locali si trasformano magicamente in “progetti di pubblica utilità”.
Taranto, ultimo anello della catena del petrolio
Il giacimento “Tempa Rossa” ha inoltre la “fortuna” di essere molto vicina a diverse infrastrutture petrolifere in uso, distanti appena 8 km. Il gas sarà facilmente convogliato alla rete locale di distribuzione SNAM, mentre il petrolio sarà trasportato tramite una condotta interrata fino all’oleodotto “Viggiano-Taranto”, oleodotto con un diametro di 51 cm e lungo 136 km (di cui 96 in Basilicata) che collega le installazioni petrolifere della Val d’Agri alla Raffineria Eni di Taranto, suo terminale di esportazione. Taranto, dunque, sarà l’ultimo anello di una catena che pur partendo dalla vicina Basilicata, la vede interpretare la semplice particina di “contenitore” di petrolio grezzo, in attesa che decine e decine di enormi petroliere entrino nel Porto di Taranto da Mar Grande per caricarlo nelle loro stive e portarselo in giro per il mondo. (1, Continua).
Gianmario Leone
g.leone@tarantooggi.it
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