Incentivi per impianti a biomasse anche in Puglia, allarme medici Isde: “Nuovo inquinamento”
Il Ministero dello Sviluppo Economico del Ministro Passera ha promosso incentivi per gli impianti a biomasse in Campania, Sicilia, Puglia e Calabria. È stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale un bando che offre agevolazioni per progetti di attivazione, rafforzamento e sostegno della filiere delle biomasse, per un totale di 100 milioni di euro. Le domande da porsi sono se questa sia una decisione compatibile con la sostenibilità ambientale e con lo sviluppo di quelle regioni meridionali e se sia compatibile con le minime garanzie di sicurezza sanitaria per i residenti, di salubrità dell’ambiente e di sviluppo dell’economia agraria, punto di forza delle regioni meridionali.
Ci sarebbe anche da chiedersi se non sarebbe stato più opportuno indirizzare risorse economiche così ingenti ad altre più pressanti priorità dei residenti di quelle regioni, anziché a favorire gli industriali delle biomasse. Le biomasse, quando prodotte in loco (filiera corta) spesso alterano il panorama locale delle colture, distorto dal privilegiare per motivi economici quelle da bruciare nella centrali per la produzione di energia elettrica. Quando, peggio, sono importate (filiera lunga), generano un incremento di inquinanti legato alla loro mobilizzazione. In entrambi i casi (produzione locale o importazione), va considerata la produzione di gas serra ed inquinanti prodotti dalla movimentazione delle ceneri prodotte da tali impianti. I problemi legati al trattamento, recupero, utilizzo e smaltimento delle ceneri che gli impianti a biomassa inevitabilmente producono è quasi sempre completamente ignorato dai proponenti di questi impianti.
A questo proposito è da sottolineare la tossicità delle ceneri prodotte. Il contenuto di cadmio, cromo, rame, piombo e mercurio delle ceneri volanti derivanti dalla combustione di legname (quercia, faggio, abete) è superiore a quella riscontrabile nelle ceneri volanti prodotte dalla combustione di carbone. Queste ceneri andrebbero smaltite in discariche per rifiuti tossici, con gravi conseguenze ambientali e con elevati costi di smaltimento. Sino ad ora questo tipo di centrali sono state proposte (e spesso autorizzate) in zone del mezzogiorno classificate dalle ARPA locali come “zone da risanare”, e questo è spesso avvenuto in seguito ad iter autorizzativi semplificati e gestiti non dalle Regioni ma dalle Province, con tutti i limiti logistici che questo comporta in termini di risorse disponibili a garantire adeguate valutazioni di impatto ambientale per questa tipologia di impianti.
Le regioni che dovrebbero “beneficiare” degli incentivi ministeriali sono ai primi posti per emissione di inquinanti atmosferici da impianti industriali. Tale situazione sarebbe peggiorata dall’elevato numero di nuove centrali a biomasse e a biogas, che emetteranno gas serra e numerosi altri inquinanti (polveri sottili, ossidi di azoto, formaldeide, idrocarburi, benzene, persino diossine) con gravi conseguenze sanitarie nel breve termine (malattie cardiorespiratorie, specie in gruppi a rischio come bambini, anziani e affetti da patologie croniche) e nel lungo termine (tumori maligni, malformazioni fetali, disturbi dell’accrescimento e dello sviluppo in età infantile). Nonostante i sistemi di abbattimento degli inquinanti atmosferici utilizzati dalle centrali a biomasse, per questi impianti è prevista dalla legge la possibilità di emettere almeno sino a 450mg/Nm3 di diossido di azoto (NO2), un valore circa doppio rispetto a quello concesso ad un inceneritore di grossa taglia (200 mg/Nm3 D.Lgs. 11 maggio 2005, n.133) e circa 11 volte superiore a quello di solito concesso alle centrali termoelettriche a metano (40mg/Nm3).
I limiti per il monossido di carbonio (almeno sino a 500 mg/Nm3) sono invece circa 16 volte superiori a quelli previsti per una centrale termoelettrica alimentata a metano (30 mg/Nm3). Per gli altri inquinanti vengono concesse concentrazioni simili a quelle degli inceneritori di grossa taglia.A questo si aggiunga che i progetti di questo tipo di centrali in genere non prevedono alcun monitoraggio delle emissioni di diossine. In ultimo, considerata la particolare vocazione agricola delle regioni oggetto degli incentivi, è opportuno sottolineare come, a parte la sottrazione di suolo a produzione agricola da destinare alla localizzazione delle centrali, le emissioni inquinanti (soprattutto particolato secondario e COT) causeranno significative conseguenze sul ciclo vitale soprattutto di ulivi e vigneti confinanti con tali impianti, e sulla capacità e qualità produttiva dei terreni agricoli limitrofi.
In conclusione, non appaiono essere in alcun modo giustificabili incentivi governativi che invece di privilegiare pratiche virtuose come il compostaggio, il risanamento di impianti industriali fonte di livelli record di emissioni inquinanti, il risanamento ambientale, la correzione di atavici dissesti idrici e idrogeologici di Puglia, Calabria, Sicilia e Campania, ancora una volta genereranno un vero e proprio tsunami di inquinanti in queste regioni, incrementando criticità già presenti, mettendo a rischio l’economia agricola e la qualità delle colture e minacciando seriamente la salute dei residenti.
È auspicabile una presa di posizione chiara e decisa delle amministrazioni regionali interessate, che dovrebbero mettere in atto tutti gli strumenti possibili utili ad ostacolare questa ulteriore minaccia ambientale e sanitaria indirizzata alle comunità meridionali. Puglia, Campania, Sicilia e Calabria non dovranno più essere territori di conquista per nessuno se favoriranno le preziose risorse umane e territoriali sulle quali possono contare. Favorire speculazioni economiche in danno delle comunità non può considerarsi Bene Comune. A questo proposito ISDE Italia è disponibile ad offrire le proprie competenze per una riflessione su una strategia differente, che si basi sui principi della sostenibilità.
Comunicato stampa dell’Isde – Associazione Medici per l’Ambiente
Per informazioni contattare il Dr. Agostino Di Ciaula. E-mail: yogiit@tin.it