Eni – Compensazioni e royalty, tra fantasia e realtà. Facciamo un po’ di chiarezza
TARANTO – Oggi tenteremo di riuscire nell’arduo compito di spiegarvi il più chiaramente possibile, qual è la reale verità sulle compensazioni ambientali e sulle famose royalty che un territorio deve ricevere dalle aziende presenti sul territorio e che hanno un forte impatto ambientale sullo stesso. E proseguendo sulla strada tracciata ieri, prenderemo come punto di partenza ancora una volta l’Eni, i suoi progetti e le relative compensazioni. Partendo da un assunto di base inequivocabile: che sino ad oggi, su questo argomento, sono state dette un cumulo di fesserie (a voler esser buoni). Sia dai tanti politici che continuano a parlare di inquinamento ed eco-compatibilità pur non conoscendo affatto la materia di cui trattano, sia da alcuni mass media che hanno iniziato una campagna mediatica contro la raffineria senza precedenti. Come se Ilva e Cementir non esistessero o, peggio ancora, come se queste due aziende avessero riempito il Comune di questa città di milioni e milioni di euro nel corso degli anni. Cosa ovviamente mai accaduta (forse, semmai, sono state riempite negli anni le casse di altri, non di certo del Comune): è chiaro dunque che una campagna unidirezionale, che poggia su assunti completamente inesistenti o parziali da ogni punto di vista, partita quando oramai i progetti erano belli che approvati (perché ci si lamenta soltanto dopo e non prima o durante resta per noi un “mistero”), sia una scelta chiaramente politica: a voi lettori la scelta di interpretare il senso e i motivi che stanno dietro tutto ciò e chi eventualmente possa trarre beneficio da ciò.
Premessa, questa, imprescindibile per chiarire quali siano effettivamente i limiti manifestati dalle nostre istituzioni da quando l’industria pesante ha immesso le sue radici inquinate nel nostro territorio. Innanzitutto, prendendo come esempio classico l’Eni, è bene precisare un fattore stabilito dalla legge e sul quale nessuno può discutere tale è la sua evidenza: un conto è la Basilicata, altro conto è Taranto. La regione lucana è infatti “strategica” per l’Italia, in quanto maggiore fornitrice di greggio. I due grandi giacimenti petroliferi della Basilicata, ubicati rispettivamente in Val d’Agri e nell’alta Valle del Sauro, rappresentano la massima parte delle estrazioni petrolifere nazionali, offrendo un importante contributo alla bilancia nazionale dei pagamenti per la “bolletta energetica”. In particolare il giacimento della Val d’Agri è il più grande dell’Europa continentale e garantisce all’Italia oltre l’80% della produzione nazionale di greggio coprendo circa il 6% del fabbisogno. Noi, invece, siamo una raffineria: ovvero un sito dove si separa il petrolio greggio nei suoi componenti e dove questi ultimi vengono trattati in una serie di processi successivi fino all’ottenimento dei prodotti commerciali, che possono essere di svariato tipo.
Ora, è chiaro anche ad un bambino che un conto è compensare un territorio a cui viene sottratta una materia prima come il petrolio, un conto è compensare un territorio in cui quel petrolio viene raffinato. Dunque, è assolutamente ridicolo protestare perché le compensazioni ambientali qui siano minori che in Basilicata. Inoltre, molto subdolamente, si fa deliberatamente confusione tra compensazioni e royalty, quando quest’ultime sono cose molto diverse dalle prime. Perché le compensazioni sono stabilite da alcune leggi esistenti, le royalty sono accordi privati che vengono rinnovati quasi ogni anno tra aziende e territori (vedi quanto avviene con le varie discariche presenti nella nostra Provincia e le relative somme che esse versano nella casse dei Comuni interessati).
Questo, però, non vuol dire che Taranto non sia un territorio degno di ricevere royalty, tutt’altro. Solo che per ottenerle, bisogna che qualcuno, al momento di pervenuta richiesta di un progetto X (centrale Enipower, Tempa Rossa) da parte di un’azienda X (Eni), chieda in quel momento che nel progetto siano stipulati degli accordi (royalty), che prevedono una specie di “tassa annuale” da versare nelle casse delle istituzioni del territorio sul quale si opera. Esempio semplice semplice: quando l’Eni si presenta presso Comune e Provincia di Taranto per chiedere che gli venga concesso l’ok per la realizzazione di un determinato progetto, invece che dire subito sì senza colpo ferire, Comune e Provincia di Taranto avrebbero l’assoluto diritto di pretendere che una percentuale (da contrattare con l’azienda) dell’importo futuro che il progetto porterà nelle casse dell’Eni venga versato nelle casse di Comune e Provincia. Punto: niente di più, niente di meno. Questo, però, dalle nostre parti e dalle nostre istituzioni non è mai stato fatto. Dai lontani anni ’60 ad oggi: dunque è altresì strumentale (la famosa operazione politica di cui sopra) indicare come unici colpevoli della mancanza di royalty l’attuale Sindaco e l’attuale Presidente della Provincia (che pur hanno ovviamente una parte di responsabilità).
Ben diverse, invece, sono le compensazioni ambientali. Le quali, molto più “leggere” per le aziende, trovano ampio spazio nella legislazione italiana, in quanto rientrano in quelle operazioni di riequilibrio ambientale strettamente connesse alla presenza di infrastrutture energetiche ad elevato impatto territoriale. Esse, oltre ad essere stabilite dalle “Linee guida fonti rinnovabili – La congruità economica e ambientale delle Misure di compensazione a favore dei comuni”, hanno trovato spazio nella legge Marzano del 2004 (poi rivista prima nel 2006 e poi nel 2008), “Misure urgenti per la ristrutturazione industriale di grandi imprese in stato di insolvenza”, che prevede nell’art. 1 comma 4, “misure di compensazione e di riequilibrio ambientale, in presenza di importanti infrastrutture energetiche ad elevato impatto territoriale”, pensata ad hoc per favorire le aziende in tema di compensazioni, che si attestano intorno all’1% sull’importo del progetto previsto da un’azienda e che, appunto, saranno destinati a compensazione di carattere ambientale.
Ecco perché, ad esempio, sul progetto “Tempa Rossa” che impegnerà l’Eni per un importo complessivo di 300 milioni di euro, Taranto riceverà compensazioni ambientali per 3 milioni di euro. Stesso discorso per la centrale Enipower: importo complessivo di 230 milioni di euro, compensazioni per 2,3 milioni di euro. Inoltre, nelle linee guida di cui sopra, le misure compensative a favore dei Comuni sono circoscritte ad una casistica limitata: si può infatti leggere nel testo che “fermo restando (…) che per l’attività di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili non è dovuto alcun corrispettivo monetario in favore dei Comuni, l’autorizzazione unica può prevedere l’individuazione di misure compensative, a carattere non meramente patrimoniale, a favore degli stessi Comuni e da orientare su interventi di miglioramento ambientale correlati alla mitigazione degli impatti riconducibili al progetto, ad interventi di efficienza energetica, di diffusione di installazione di impianti a fonti rinnovabili e di sensibilizzazione della cittadinanza sui predetti temi (…)”.
Come potete dunque intuire, è assolutamente ridicolo confondere le royalty che riceve la Basilicata, con le compensazioni che riceve Taranto. Parliamo di territori, accordi, leggi completamente diverse tra loro. Così come è del tutto fuori luogo pretendere che l’Eni faccia pagare di meno la benzina ed il gasolio a Taranto, sol perché qui c’è una raffineria. L’Eni non ha nessun obbligo per fare questo: non è un caso, infatti, che ciò avvenga invece per gli abitanti della Lucania, dove appunto il petrolio viene estratto. Infine, in questa prima puntata sulle royalty e le compensazioni ambientali, è bene sfatare qualche altro tabù: in Basilicata, non stanno affatto meglio di noi, nonostante abbiano le famose royalty. Primo perché in Basilicata non esistono restrizioni alla libertà di perforare, cosa che invece avviene negli altri paesi. Inoltre, la Basilicata in tutti questi anni non è affatto cresciuta economicamente (nonostante il 7% di royalty con in più anche una franchigia di 20 milioni di tonnellate di olio e di 25 milioni di metri cubi standard per il gas da scontare prima di erogare denaro), né ha visto un’impennata di posti di lavoro, né ha creato indotto (visto che ad esempio il petrolio lucano viene raffinato da noi) se è vero come è vero che i lucani continuano ad emigrare nonostante i 20 anni di economia petrolifera già trascorsi.
Inoltre, nelle tante polemiche degli ultimi mesi, si imputa all’Eni di avere impianti a soli 1000 metri di distanza dalle prime abitazioni del rione Tamburi, quando ad esempio la distanza tra l’Ilva e il rione stesso in alcuni punti non supera i 200 metri. O, sempre restando in tema, si imputa all’Eni di far lavorare poco le aziende tarantine nell’indotto, quando è ampiamente risaputo che il signor Riva già da qualche anno ha messo al bando dall’indotto del siderurgico, tantissime aziende gestite dai tarantini. Dunque, che vogliamo fare? Vogliamo continuare a prenderci in giro? Non credete sia giunto il momento di iniziare a confrontarci seriamente sull’esistente? Anche perché, onestamente, dopo oltre 40 anni di inquinamento, di royalty e di risarcimenti non ricevuti, ci manca soltanto l’affidarci a chi, ancora oggi, continua a tenere molto di più al suo tornaconto personale, che al bene per questa città ed i suoi abitanti.
Gianmario Leone
g.leone@tarantooggi.it