Alla cortese attenzione di:
Prof. BIGGERI ANNIBALE. Dipartimento di Statistica “Giuseppe Parenti”
Prof.ssa TRIASSI MARIA. Scuola di Formazione in Management Sanitario
Dr. FORASTIERE FRANCESCO. A.S.L. Roma e Dipartimento di Epidemiologia
Illustri dottori,
in qualità di membri del comitato cittadino, “Taranto lider”, acronimo di Libere Iniziative per la Diversificazione Economica e la Riconversione, che si pone come obiettivo la realizzazione di iniziative tese a far crescere una nuova consapevolezza nell’opinione pubblica sulla delicata questione delle alternative alla grande industria pesante e che ha sempre cercato di diffondere il principio di massima precauzione e prevenzione primaria con istituzione di mappe epidemiologiche,
SCRIVIAMO
la presente perché fortemente convinti che non tralascerete nella vostra indagine di considerare malattie fortemente invalidanti e diffuse, come le patologie tumorali, le neoplasie, ecc, ma al tempo stesso riteniamo di dover vigilare affinché venga data la giusta attenzione anche a malattie fortemente invalidanti, ma ancora non riconosciute ufficialmente dal Servizio Sanitario Nazionale, quali l’endomentriosi e l’MCS (Sensibilità Chimica Multipla).
Diamo in questo modo voce a tutti i cittadini che tramite “Taranto lider” hanno espresso il proprio dolore e il proprio desiderio di vedere i propri diritti rispettati, processo cominciato già tempo fa con la pubblicazione su una nota testata locale di un articolo in proposito:http://www.tarantolider.it/news/?tag=endometriosi
All’interno di tale articolo fu citato il presidente della Sigo (Societa’ italiana di ginecologia) Giorgio Vittori che aveva affermato: “Le sostanze inquinanti presenti nell’ambiente, tra cui la diossina contribuiscono all’insorgenza dell’endometriosi, come dimostrano i dati epidemiologici del Belgio e di alcune regioni italiane. Secondo noi, considerato l’elevato numero di soggetti colpiti ci troviamo di fronte ad un’epidemia, e l’ampiezza del fenomeno deve essere riconosciuta dalle istituzioni.” Studi epidemiologici indicano l’associazione fra l’aumentato bioaccumulo di PCB “diossina simili” e/o diossine ed un incremento del rischio di endometriosi (Rier & Foster, Toxicol Sci. 2002 70: 161-70).
Quanto dichiarato relativamente alla correlazione tra endometriosi e diossina è stato recentemente confermato da un gruppo di ricerca tutto italiano, finanziato dalla Fondazione Italiana Endometriosi, che è riuscito a identificare l’origine genetica dell’endometriosi, una malattia che colpisce oltre tre milioni di donne, solo in Italia, e la sua correlazione con gli inquinanti presenti in atmosfera e nella catena alimentare, tra cui diossina, mercurio, cadmio, piombo, plastificanti, fenoli.
Gli scienziati sono riusciti a identificare con lunghe ricerche, cellule di endometrio al di fuori dell’utero, nei feti femminili già dalla sedicesima settimana di vita. L’equipe dichiara: “Lo studio ha dimostrato, per la prima volta che l’endometriosi é determinata dalla presenza di tessuto endometriale primitivo al di fuori dell’utero, derivante da un minimo difetto genetico dell’apparato genitale. Concorrono alla formazione di questa patologia, distruttori endocrini, agenti inquinanti come la diossina e altri contaminanti che causano o stabilizzano il fenomeno durante la gravidanza.”
Con questa lettera vogliamo, inoltre, porre la vostra attenzione anche al legame esistente tra l’inquinamento e la problematica della sterilità a causa delle alte temperature riscontrate all’interno degli stabilimenti siderurgici, e delle radiazioni ionizzanti, già scientificamente comprovato da studi realizzati dal Prof. Filippo Maria Boscia (luminare nel campo della cura della sterilità e, in particolare, dell’endometriosi), dal suo staff e dal altri medici competenti ed esperti nel campo.
Attualmente è in corso, a partire dal 2010, un protocollo di ricerca finanziato dalla Fondazione Cassa di risparmio di Puglia, in collaborazione con l`Università di Bari e in particolare con il dipartimento di ginecologia, ostetricia e neonatologia che potrà stabilire se, nella nostra provincia, c`è una relazione tra inquinanti ambientali e infertilità femminile. Lo studio diretto dalla dottoressa Raffaella Depalo, fisiopatologa della riproduzione umana al Policlinico di Bari, su un campione di 58 donne dell`area tarantina da confrontare con altrettante donne che risiedono nel resto della Puglia. L`emissione di diossina dell`impianto Ilva di Taranto desta, da sempre, forte preoccupazione.
Lo studio è nato da un dato osservazionale retrospettivo sulla “risposta povera” alla stimolazione ovarica in cicli di Fecondazione Assistita, in una ristretta popolazione di giovani donne che avevano come comune denominatore la stessa provenienza: l’area geografica tarantina.I dati prelimari sono relativi ad uno studio prospettico sugli effetti della diossina sulla maturazione dell’ovocita.
Gli esiti definitivi saranno resi pubblici il 25 novembre a Lecce, nel XVII Week-end Clinico della Società Italiana della Riproduzione “Ambiente, fertilità e tumori” con la relazione della dottoressa Depalo: “Diossine e patologie ovariche correlate”.Secondo i rilievi effettuati dall`Arpa Puglia, i dati annui proiettati su 45 anni di funzionamento dell`impianto, fornirebbero un ammontare di oltre 7 chili e mezzo di diossine fuoriuscite, con relative problematiche sanitarie connesse all`esposizione cronica.
Alla presentazione del progetto, nell`auditorium della Fondazione CrP, è intervenuto, tra gli altri, Giorgio Assennato, direttore dell`Arpa Puglia (l`Agenzia per l`ambiente) che ha sottolineato la necessità di dare risposte precise alla popolazione. Ha ricordato, inoltre, la tragedia di Seveso del 1976, con la grande quantità di diossina rilasciata nell`aria per un incidente agli impianti della Icmesa di Meda, e le gravi patologie che furono riscontrate nella popolazione contaminata.
In questo momento storico è in corso l’incidente probatorio sulle emissioni dell’Ilva e nell’ambito dello stesso ci sono 300 dipendenti Ilva da monitorare, per comprendere la correlazione tra le loro condizioni di salute e le emissioni dell’Ilva. Noi come altri comitati della città tarantina, riteniamo che monitorare solamente 300 dipendenti, su circa 11.000, senza dimenticare gli ex-dipendenti congedati dopo decenni di vita nello stabilimento, possa essere insufficiente e ribadiamo vogliamo sollecitare la considerazione non solo delle malattie riconosciute come malattie professionali.
Affinché lo studio non risulti limitativo e poco rappresentativo, andrebbero ad esempio monitorati i dipendenti che sono stati costretti a ricorrere a periodi di malattia, verificando se hanno trascorso periodi in ospedali o abbiano seguito terapie antitumorali o interventi chirurgici o di autotrapianto oppure se siano deceduti.
Siamo naturalmente fiduciosi nelle Istituzioni e nel vostro operato, ma abbiamo l’obbligo, in quanto portavoce dei diritti dei cittadini, di esprimere i nostri dubbi e sollecitare il massimo impegno affinché la professionalità degli esperti prescelti sia in grado di evidenziare e sottoscrivere scientificamente la realtà e la drammatica situazione della città di Taranto già nota a tutti, ma da molti volutamente tenuta in sordina.
In attesa di un vostro gentile cenno di riscontro e di voler magari diffondere le vostre intenzioni sui nostri spazi web e tramite eventuali interviste e comunicati stampa, inviamo i nostri più cordiali saluti.
Comitato cittadino Taranto lider
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