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Oltre la cortina d’acciaio, confronto tra ambientalisti e operai

TARANTO – Il rischio che si corre nell’affrontare la questione ambientale tarantina è sempre lo stesso: si è tutti sulla stessa barca ma ognuno rema per conto suo.  I pregiudizi, le diffidenze, la mancanza di un’adeguata comunicazione restano in agguato, come nubi minacciose. Il tentativo di rompere la “cortina d’acciaio” tra ambientalisti e operai, promosso da Siderlandia, punta su un approccio differente, basato sulla volontà di guardarsi negli occhi, confrontarsi, in cerca di punti di contatto, anche in presenza di posizioni divergenti, talvolta inconciliabili.

“Dentro e fuori la fabbrica, un primo passo oltre la cortina d’acciaio”, il convegno tenuto a Palazzo Galeota mercoledì scorso, ha visto la partecipazione di due esponenti del mondo ambientalista, Daniela Spera (LegamJonici) e Biagio De Marzo (Altamarea), e di due lavoratori del siderurgico, Francesco Brigati (Rsu) e Vincenzo Vestita, moderati da Roberto Polidori.  Tra il pubblico diversi rappresentanti della società civile e alcuni politici. Gli operai erano pochi, meno di quelli attesi, nonostante il volantinaggio effettuato davanti allo stabilimento e il passaparola lanciato sui social network. Ed è stato questo il primo nodo a venire al pettine: perché così pochi? Li ha condizionati il timore di esporsi?

Questa l’interpretazione di Brigati: «Non penso che si tratti di paura. Forse c’è un certo disinteresse e  un distacco con gli ambientalisti. Non abbiamo mai visto le associazioni all’ingresso della  fabbrica per spiegare le loro ragioni. Per superare questo distacco bisogna puntare sulla sensibilizzazione». L’altro nodo, quello che ogni volta scalda gli animi, riguarda la convivenza tra siderurgico e città. Gli impianti vanno chiusi o possono essere resi più compatibili con l’ambiente? Il tema è stato affrontato dopo aver sentito i preoccupanti dati della dott.ssa Giuliana Grossi dell’Isde sull’incidenza dei tumori ed altre patologie a Taranto.

«Siamo a conoscenza di questi dati e sappiamo la pericolosità di certe sostanze – ha spiegato Vincenzo Vestita, un uomo che nella fabbrica ci lavora – la parola diossina è entrata nel vocabolario di tutti. Il problema è molto sentito. A volte, però, veniamo tirati in ballo come pecore. Non è accettabile un approccio del tipo: prima si chiude la fabbrica e poi si pensa al resto». Poi ha spiegato la sua angoscia: «Ogni giorno mi devo scontrare con le esigenze della vita quotidiana, con le rate del mutuo da pagare, e mi sento sotto pressione». Per Vincenzo, però, il confronto è possibile: «Ci sono operai disposti a dialogare con gli ambientalisti. Io penso che si debba lavorare per produrre l’acciaio nel modo più pulito possibile ed affrontare problemi irrisolti come quello dei parchi minerali scoperti».

Per l’ambientalista De Marzo i margini per una convivenza sono possibili: «Le soluzioni per migliorare gli impianti ci sono. Non esistono vincoli tecnici, ma solo economici. La verità è che Riva dovrebbe spendere molto di più di quanto ha fatto per acquistare lo stabilimento». Sono quattro le principali soluzioni proposte da Altamarea in sede di Aia: campionamento in continuo della diossina, con soglia di allarme e interventi tempestivi; allontanamento delle cokerie dal centro abitato; copertura dei parchi minerali, depurazione “a monte” delle acque scaricate in mare. «In questo modo si risolverebbe l’80-90% dei problemi ambientali”, ha concluso.

Di tutt’altro avviso, invece, Daniela Spera (LegamJonici), che ritiene inefficace qualsiasi tentativo di ammodernamento dell’Ilva: «Non si può parlare di ecosostenibilità quando ci sono impianti che producono inquinanti persistenti. E’ fuorviante parlare solo di diossina e benzo(a)pirene. Ci sono anche i metalli pesanti ed altre sostanze pericolose. In caso di riduzione delle emissioni, si morirebbe lo stesso per l’esposizione ai  veleni.  La questione da porre è un’altra: gli operai continuerebbero a lavorare all’Ilva se ci fossero delle alternative? E’ ovvio che non si può chiudere lo stabilimento dall’oggi al domani, ma bisogna progettare soluzioni alternative e discuterne con gli operai e la città».

Il dibattito è stato animato anche dal dottor Patrizio Mazza, consigliere regionale dell’Idv, e da Rosario Rappa, segretario generale della Fiom Taranto. «Il problema dell’inquinamento non si risolve riducendo le emissioni – ha detto Mazza – bisogna cominciare a ragionare su cosa fare in alternativa alla grande industria». Da Rappa è giunto l’impegno a collaborare con gli ambientalisti per ottenere dall’Ilva maggiori investimenti a tutela della salute e dell’ambiente, a condizione (però) che si metta da parte l’ipotesi chiusura. Mentre il dialogo tra operai e ambientalisti muove i primi passi, va segnalato lo sfogo  di un uomo che la fabbrica l’ha sempre vissuta dall’esterno: «Ho perso mia moglie ed altri parenti per colpa dell’inquinamento. Allora mi chiedo: perché dobbiamo morire per far guadagnare altri?». Anche questo, per molti, è un nodo da sciogliere, così come lo è il vuoto politico da più parti denunciato.

Alessandra Congedo

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