TARANTO – Potrà andare in giro dentro uno zainetto l’analizzatore di ipa acquistato dal Rotary Club di Taranto e affidato a Peacelink. Si chiama Ecochem Pas 2000 ed è uno strumento in grado di rilevare la presenza degli idrocarburi policiclici aromatici nell’aria. Per Alessandro Marescotti, presidente dell’associazione ambientalista, si tratta di un “tecno-sogno” cullato da tempo: «Da oggi in poi, quando noteremo una nube sospetta nel cielo o avvertiremo una strana puzza di gas, avremo uno strumento in più rispetto agli occhi e all’olfatto per capire cosa sta succedendo».
Dei vantaggi, ma anche dei limiti, di questo strumento si è parlato martedì scorso in un incontro organizzato all’hotel Delfino. Presenti, tra gli altri, il presidente del Rotary Club Luigi Romandini, la dottoressa Anna Maria Moschetti, referente regionale dell’Associazione Culturale Pediatri e il dottor Gianluigi De Gennaro, ricercatore di chimica dell’ambiente presso l’Università di Bari. L’intervento della Moschetti ha rappresentato un vero e proprio ripasso di dati ormai noti ai ben informati (ma non a tutti i cittadini) che offrono un quadro inequivocabile dei danni prodotti all’ambiente e alla salute dagli ipa, sostanze contenenti benzo(a)pirene, inquinante altamente cancerogeno e genotossico.
«Gli ipa sono prodotti in grande quantità da inceneritori e acciaierie – ha spiegato la Moschetti illustrando i dati Arpa – il primato, in Italia, è detenuto dalla Puglia. Nella regione spicca Taranto, dove il 98% del benzo(a)pirene è prodotto dalle cokerie Ilva». Come ha evidenziato l’esperta, questa sostanza si lega al dna e lo danneggia. Così, una mamma può trasmettere al figlio il rischio di contrarre tumori e altre patologie. «E’ ovvio che a Taranto non c’è solo il benzo(a)pirene – ha aggiunto la pediatra – oltre alla diossina, entrata ormai nella catena alimentare, ci sono inquinanti come il mercurio e il piombo. Ne deriva, quindi, un rischio complessivo non quantificato».
Altri dati indicati dalla Moschetti spingono a tenere la guardia alta: «Nel 2009, la centralina dell’Arpa di via Machiavelli, nel quartiere Tamburi, aveva fatto rilevare una media di benzo(a)pirene di 1,3 ng/mc. Nel 2010, questa media è salita all’1,82. Siamo arrivati ad un livello di rischio inaccettabile». Per rendere chiaro il collegamento tra industrie e malattie, la dottoressa ha citato il caso emblematico di Cornigliano (Genova) che ospitava un altro stabilimento Ilva: «Alla chiusura dell’area a caldo, i ricoveri per malattie respiratorie si sono abbassati drasticamente».
Col professor De Gennaro, che studia da anni la situazione ambientale tarantina, ci si è addentrati sui pro e i contro del nuovo analizzatore. Tre i pregi principali: l’alta risoluzione temporale (fornisce dati ogni 10 secondi), la facilità d’uso e la possibilità di quantificare gli ipa contenuti nelle masse d’aria provenienti dall’area industriale. Tra i limiti c’è la minore accuratezza rispetto alle strumentazioni convenzionali usate dall’Arpa. De Gennaro è stato chiaro: «Se l’apparecchio rileva un aumento degli ipa, non è comunque in grado di dirci il livello di benzo(a)pirene».
De Gennaro, però, è andato oltre facendo notare che non si può continuare a diagnosticare all’infinito una malattia (l’inquinamento) che esige adeguate terapie. Le dichiarazioni rilasciate a margine del convegno non lasciano spazio a equivoci: «Qui non si tratta di valutare se si è superato 1 ng/mc oppure no. Nel caso dei cancerogeni, anche stando al di sotto della soglia legale ci sono dei rischi per la salute umana. E questo discorso vale per la diossina, il benzene, il piombo. C’è da chiedersi: la città sostiene grandi costi ambientali e sanitari, ma quali benefici ottiene in cambio? Perché non pretende la copertura dei parchi minerali e la riduzione delle emissioni diffuse?».
L’esperto invita a tenere d’occhio soprattutto i parchi: «I monitoraggi effettuati con l’Università hanno fatto rilevare concentrazioni elevate di manganese (superiore ai limiti fissati negli Stati Uniti), mentre il ferro raggiunge livelli simili al Pakistan». E in merito alla possibilità di rendere realmente ecocompatibile il colosso siderurgico, De Gennaro è stato lapidario: «Ho i miei dubbi».
Infine, una sintesi dei primi dati raccolti da Marescotti col nuovo strumento. I livelli più alti di ipa sono stati rilevati nel parcheggio Ilva, a 200 metri dal camino E-312 (291 ng/m3) e in via Dante, nei pressi dell’istituto Righi (194 ng/m3) in momenti di traffico intenso. Alto anche il dato di via Lisippo (136 ng/m3), nel quartiere Tamburi. La media di Taranto è di 46 ng/m3. A Martina Franca il dato più alto è di soli 16 ng/m3, in piazza Roma, e la media è 7 ng/m3. Tali dati, però, sono legati ad una sperimentazione che necessita di ulteriori approfondimenti.
ALESSANDRA CONGEDO – CORRIERE DEL GIORNO
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