Foschini ci aiuta a comprendere perché il disastro ambientale dell’Ilva di Taranto sta diventando un pericolo per l’Italia e perché è soprattutto qui che si gioca la battaglia della sicurezza sul lavoro. Dal quartiere Tamburi a ridosso del più grande impianto siderurgico d’Europa ci sono solo quindici passi, e quindici passi ugualmente dividono l’impianto dell’Ilva dal cimitero di San Brunone, il grande camposanto dove molti degli operai del complesso sono stati sepolti. Giuliano Foschini ha scritto un reportage sul più grande e silenzioso disastro ambientale italiano, un lavoro meticoloso tra carte giudiziarie e ambientali, numeri ed emissioni, dove hanno un ruolo importante le mancanze della politica e le omissioni delle classi dirigenti che in quasi cinquant’anni hanno diretto il siderurgico. Accanto all’inchiesta vi è il filo conduttore delle storie della gente: i bambini che disegnano solo cieli neri, le donne che si ritrovano le loro scope rosse di quarzite, o i pastori a cui sono stati soppressi i greggi per l’allarme diossina. Un racconto serrato e spietato che spiega perché il disastro di Taranto sta diventando un pericolo per il nostro Belpaese. Perché la battaglia sulla sicurezza del lavoro si gioca soprattutto in questo impianto (il cui proprietario è oggi azionista di maggioranza della cordata CAI – Alitalia) e perché la politica nazionale non impone nuovi limiti alle emissioni velenose.
Giuliano Foschini è nato 27 anni fa a Barletta. Lavora a Bari nella redazione di Repubblica e collabora con L’Espresso. Si occupa principalmente di scandali e malaffare; scrive principalmente di pubblica amministrazione, università e ambiente. Questo è il suo primo libro.
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