«Questo libro nasce dall’idea di mettere insieme tante storie all’interno di un’unica storia. E’ un intreccio di esistenze che tocca, in varia misura, ognuno di noi». Fulvio Colucci spiega così la scintilla che ha portato alla realizzazione di “Invisibili”, l’opera scritta a quattro mani con lo scrittore-operaio Giuse Alemanno per la “Kurumuny Edizioni”.
Il libro è stato presentato ieri pomeriggio nell’ex sala Giunta della Provincia insieme al direttore editoriale Luigi Chiriatti e al presidente dell’Amministrazione Provinciale Gianni Florido, nel corso di un interessante incontro-dibattito che ha visto una folta partecipazione.
Protagonisti di “Invisibili” sono gli operai dell’Ilva con il loro patrimonio di inquietudini, paure, sentimenti e speranze. Una presenza che oggi appare ai margini della realtà cittadina, distante anni luce dalle battaglie sindacali e ideologiche che hanno impregnato i decenni più caldi. Una presenza colta in tutta la sua problematicità dall’occhio attento di due osservatori d’eccezione: un giornalista e un operaio.
Il primo, Fulvio Colucci, ci racconta questi uomini in tuta blu dall’esterno attraverso testimonianze e articoli tratti dalla “Gazzetta del Mezzogiorno”. Il secondo, Giuse Alemanno, è la voce che emerge dal cuore della fabbrica, dove tutto è diverso da come appare. Il filo conduttore è l’evoluzione della classe operaia in un contesto difficilmente etichettabile.
«L’Ilva è un mondo complesso, articolato, ricco di storie particolari – spiega Alemanno – la nuova ondata di operai è formata da uomini che sono stati catapultati in giovanissima età in un sistema enorme e spesso incomprensibile. Per loro la fabbrica non è un ecomostro ma un luogo di lavoro. Come lavoratori, quindi, meritano il massimo rispetto. In realtà non sono persone invisibili, come viene provocatoriamente detto nel titolo: loro rappresentano la vera spina dorsale di questa città».
Il libro, frutto di una fusione fredda tra anime molto diverse tra loro, ripercorre un arco di tempo compreso tra il 2007 e il 2010. Anni che hanno messo a dura prova la dignità e la coscienza di un’intera comunità, come sottolinea lo stesso Colucci: «Per i tarantini è stato un periodo molto difficile, caratterizzato da una collettività frantumata. Le morti bianche, il dissesto del Comune, la vertenza ambientale hanno segnato la storia di una città che ha dovuto affrontare queste sfide da sola, nel disinteresse della Nazione».
Quale può essere, a questo punto, il balsamo in grado di lenire queste ferite? Per Colucci non si sono dubbi: «Bisogna trovare e valorizzare i punti di condivisione. Per noi il punto principale è rappresentato proprio dalla classe operaia. La città deve riconoscere il ruolo civile degli operai e renderli partecipi delle decisioni, a cominciare da quelle che riguardano le questioni ambientali. D’altronde sono loro quelli che hanno maggiore contezza di quanto avviene nella fabbrica».
Facendo un raffronto tra vecchie e nuove generazioni di lavoratori, Colucci individua una sostanziale differenza: «Gli operai di oggi non hanno la coscienza di classe dei loro padri, sia dal punto di vista storico che filosofico. I vecchi operai, definiti metalmezzadri, riconoscevano un equilibrio tra ambiente, territorio e industria. Questo equilibrio, negli anni, è saltato e gli operai non possono recuperarlo da soli. Per farlo hanno bisogno di un riconoscimento civile del loro ruolo all’interno del dibattito cittadino. Taranto non può prescindere da loro».
Alessandra Congedo (Corriere del Giorno)
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