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Diossina, valori oltre i limiti nei frutti di mare prelevati dai fondali del Mar Piccolo

Cozza Pelosa

«Non siamo contro di voi, ma con voi». E’ questo il messaggio lanciato da Fabio Matacchiera, presidente del Fondo Antidiossina Taranto, e Alessandro Marescotti, presidente di Peacelink. ai mitilicoltori che ieri mattina hanno affollato la sala del’Istituto “Cabrini”, dove si teneva la conferenza stampa di presentazione delle analisi dei frutti di mare tarantini commissionate dal Fondo al laboratorio Inca di Venezia. Il clima è risultato subito particolarmente teso. La notizia di una contaminazione da diossina e Pcb nelle cozze ioniche, diffusa dal Tg3 nazionale mercoledì pomeriggio e poi rimbalzata su tutti i media, ha suscitato grande preoccupazione tra i cittadini e profonda indignazione tra gli operatori del settore che ora vedono la loro attività a serio rischio. L’incontro di ieri è quindi servito a fare chiarezza sui dati raccolti e a circoscrivere il problema.
«Questa iniziativa non è rivolta contro di voi, non vogliamo danneggiare il vostro settore – ha sottolineato Matacchiera – dobbiamo riuscire ad essere uniti e solidali. Siamo qui per correggere il tiro rispetto alla generalizzazione del problema».
C’è un aspetto, infatti, che va subito precisato: i frutti di mare che hanno presentano valori al di sopra della legge sono stati prelevati da fondali del primo seno del Mar Piccolo. Le analisi, quindi, non riguardano i mitili di allevamento su palo e su galleggiante long-line, che come hanno dichiarato Matacchiera e Marescotti “godono di una situazione presumibilmente migliore, in quanto non poggiano sul fondale”. Una precisazione richiesta a gran voce dai mitilicoltori, i quali hanno affermato che i loro frutti di mare sono sani e che la loro attività non merita di finire in ginocchio a causa di allarmismi ingiustificati.
Entrando nei dettagli, i frutti di mare analizzati sono ostriche, cozze San Giacomo, cozze di fondale e cozze pelose. I valori di diossine e Pcb sono risultati superiori ai limiti consentiti: 13,5 picogrammi per grammo quando la legge fissa un limite di 8. Lo sforamento è quindi di +69%. In base a questi dati, i frutti di mare esaminati risultano più inquinati del pecorino fatto analizzare da Peacelink nel marzo del 2008. D’altronde fu proprio quello il primo clamoroso caso di contaminazione da diossina venuto a galla.
«In quel formaggio locale scoprimmo valori di diossine e Pcb superiori ai limiti di legge: 19,5 picogrammi per grammo di materia grassa, quando il limite è 6 – ha spiegato Marescotti – il raffronto ha evidenziato una maggiore contaminazione dei frutti di mare presi dal fondale del Mar Piccolo. Nel pecorino fu riscontrato un quantitativo di diossine e Pcb pari a 975 picogrammi per 100 grammi di formaggio. Si superava la dose tollerabile giornaliera di quasi 7 volte per un uomo di 70 chili e di quasi 10 volte per una donna di 50 chili».
Passando ai frutti di mare, Marescotti ha dichiarato che “nel campione si va ben oltre raggiungendo addirittura 1314 picogrammi di diossine e Pcb per 100 grammi. Mangiando 100 grammi di questi molluschi si supera di 9 volte la dose tollerabile giornaliera se si considera una persona che pesa 70 chili e di 13 volte nel caso di una donna di 50 chili». Ma quali sono i pericoli per la salute umana? «Per smorzare l’allarme è bene dire che a far male non è il singolo consumo di cibo contaminato, ma il consumo protratto nel tempo (per anni e decenni). Queste sostanze si bioaccumulano nell’organismo costituendo un rischio non solo cancerogeno ma anche genotossico – ha proseguito Marescotti – hanno cioè il potere di modificare il Dna che viene trasferito ai figli. Diossine e Pcb nei mitili possono passare alle orate e ai saraghi che si nutrono delle cozze del fondale. Il passaggio tra un organismo e l’altro è il fenomeno della “biomagnificazione”».
Più volte Marescotti e Matacchiera hanno affermato che l’obiettivo delle indagini svolte è quello di puntare alla tutela del mare e non quello di penalizzare i mitilicoltori, che “invece vanno supportati adeguatamente perché possano svolgere le loro attività in un ecosistema non inquinato e non contaminato”. Ora che questi dati sono stati resi pubblici, il Fondo Antidiossina e Peacelink propongono una mappatura del fondale per individuare aree di sofferenza e fonti di inquinamento. L’altra richiesta riguarda proprio i mitilicoltori che “vanno indennizzati per i danni subiti portando a Taranto interventi di sostegno economico del Governo previsti per la mozzarella di bufala campana”. «La diossina è una calamità che deve trovare alleati gli allevatori di pecore e capre e gli allevatori di frutti di mare – ha continuato Marescotti – la politica deve fare la sua parte come pure lo Stato. Il nostro scopo è quello di fornire alle autorità competenti (Arpa e Asl) uno stimolo per svolgere indagini ancora più approfondite. Intanto, abbiamo appreso che la Procura della Repubblica di Taranto, già nelle ore scorse, ha incaricato la Capitaneria di Porto di raccogliere informazioni. Non è escluso che possa essere aperto un nuovo fascicolo per inquinamento ambientale». Il prossimo appuntamento con il Fondo Antidiossina Taranto è fissato per mercoledì prossimo, quando sarà convocata una conferenza stampa con il dottor Stefano Raccanelli, direttore dei Laboratori Microinquinanti Organici del Consorzio Interuniversitario Nazionale di Venezia, ritenuto uno dei massimi esperti italiani nel settore.

Alessandra Congedo

admin

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  • La diossina trovata nei latticini ed ora anche nei frutti di mare di fondo, è la prova che il disastro ambientale c'è e non risparmia nulla neanche le verdure credo. Sarebbe comunque interessante sapere quali sono le condizioni delle falde acquifere; in ILVA vi sono circa 150 pozzi artesiani e "si dice" che siano stati usati, negli anni passati, in maniera impropria. Non credete sia il caso di approfittare del momento per far evenire a galla eventuali altre nefandezze?? E cosa dire delle altre fonti inquinanti presenti sul territorio? Delle altre realtà industriali che scaricano in aria di tutto? Ritengo sia errato considerare il problema ILVA singolarmente, ma abbinato a tutti gli altri esistenti sul territorio.

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