Siderurgia, un’industria che non produce più sviluppo
Taranto – La storia e il futuro della siderurgia visti da un economista, uno storico e una sociologa. Una rara occasione per riflettere sul controverso rapporto tra città e acciaio, a pochi mesi dallo svolgimento del referendum che chiederà ai tarantini di esprimersi sulla chiusura parziale o totale dell’Ilva.
Il dibattito organizzato ieri a Palazzo di Città dall’associazione Siderlandia e dal centro sociale Cloro Rosso – sul tema “Città d’acciaio. Insediamenti siderurgici e contesti locali in Italia” – ha messo a confronto le idee di tre professori: Ruggero Ranieri dell’Università di Padova, Annalisa Tonarelli dell’Università di Firenze e Michele Capriati dell’Università di Bari, moderati da Salvatore Romeo.
Ed è stato proprio l’intervento del professor Capriati quello più dirompente: «L’esperienza ionica, dopo 50 anni di siderurgia, ci insegna che la crescita non sempre genera sviluppo umano. Anzi, a Taranto, la crescita ha prodotto sottosviluppo perché ha negato il diritto alla salute, alla sicurezza dei lavoratori, alla partecipazione democratica, alla conoscenza delle informazioni riguardanti l’azienda». Ed ha aggiunto: «In tutto il resto d’Italia sono stati fatti degli sforzi per rendere le industrie ambientalmente compatibili, a Taranto no, perché non c’è stata una sufficiente pressione della società civile. Per difendere i diritti inalienabili serve una comunità consapevole, ben informata e battagliera, in grado di premere sulle istituzioni e sulle aziende».
Con la professoressa Tonarelli è stato tracciato il percorso di Piombino, un’altra realtà a forte connotazione industriale che quindici anni fa ha intrapreso la via della diversificazione. Così, mentre il siderurgico ha continuato a produrre e ad inquinare, le istituzioni locali hanno tentato la carta del turismo, dei parchi culturali e dell’agricoltura di qualità per rilanciare l’economia cittadina.
«Si pensava di creare 7-8 mila posti di lavoro in una realtà di 35mila abitanti, invece si è prodotta pochissima occupazione. Sono mancate idee imprenditoriali valide, la società civile non si è fatta sentire e la classe politica ha ostacolato strategie alternative – ha detto la Tonarelli – ora Piombino è una città senza speranza, con una fabbrica necessaria e ingombrante che nessuno vuole. Forse con la chiusura dello stabilimento si sarebbe potuto affermare un diverso modello di sviluppo».
E sulle prospettive del settore siderurgico si è soffermato, a margine del convegno, il professor Ranieri: «Dopo la crisi del 2009, la più drammatica della storia, stiamo assistendo ai primi segnali di ripresa ma solo le imprese globali avranno la possibilità di affermarsi. Il ruolo strategico dell’acciaio è ormai finito anche se l’industria siderurgica continua ad essere importante». Calandosi nella realtà tarantina, Ranieri ha sottolineato la necessità che l’Ilva metta in atto tutti gli investimenti necessari per tutelare l’ambiente: «Si tratta di interventi costosi ed è ovvio che l’impresa non li faccia volentieri. Tocca alla coscienza del territorio e alle istituzioni stimolarla in questa direzione».