Durante gli anni Ottanta è una ragazza tarantina come tante altre. Frequenta il liceo scientifico “Battaglini”, passeggia con le amiche tra via di Palma e via D’Aquino e d’estate fa il bagno a Gandoli o a Fatamorgana. Ma dietro questa apparente normalità, Antonella Viola coltiva una passione smisurata per la biologia, per quel mondo suggestivo che passa tra i vetrini e il microscopio manifestandosi soltanto davanti allo sguardo interessato di pochi curiosi.
Una passione che le fa bruciare le tappe: a 22 anni si laurea in Scienze Biologiche presso l’Università di Padova e nel 1995 ottiene il Dottorato di ricerca in Biologia Evoluzionistica. Dal 1995 al 1999 è membro scientifico del “Basel Institute for Immunology” (Svizzera). Dal 2006 è capo del Laboratorio di Immunità Adattiva presso l’Istituto Clinico Humanitas e dal giugno 2007 è ricercatore presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia (Università degli Studi di Milano). Un curriculum da lasciare senza fiato.
Gli ultimi anni sono costellati di successi: l’European Molecular Biology Organisation la premia con lo Young Investigator Award, un vero e proprio Oscar in ambito scientifico, e la nomina ambasciatrice delle donne scienziato nel mondo. Nel dicembre del 2006, The Journal of Experimental Medicine dedica una copertina alla ricerca con cui la dottoressa Viola svela come e dove i linfociti T (alcune delle cellule del sistema immunitario chiamate a sconfiggere i patogeni invasori) trovano l’energia per “accorrere” sul luogo dell’infezione.
Oggi Antonella è una bella donna di quarant’anni, mamma di due figli, in prima fila nella ricerca contro il cancro e a capo di una equipe formata soprattutto da donne. L’abbiamo sentita qualche giorno fa, durante una pausa dal lavoro che avrebbe dovuto essere breve e che si è dilatata grazie alla sua spontanea e disarmante cordialità.
Dottoressa Viola, ci parli innanzitutto della sua equipe e dell’importante lavoro che sta svolgendo.
E’ un gruppo formato da circa quindici persone che seguono diverse cose in campo biomedico, immunologico ed ematologico. Ora stiamo finendo uno studio su un farmaco che speriamo possa essere utilizzato nella terapia immunologia contro il cancro. Dovrebbe avere la funzione di risvegliare il sistema immunitario per permettergli di uccidere le cellule tumorali. Inoltre abbiamo inviato a “Nature”, la più grande rivista scientifica al mondo, uno studio sulle cellule staminali adulte emopoietiche (quelle che fanno rigenerare il sangue). Abbiamo identificato un meccanismo che permette la loro espansione. Poi continuano gli studi classici sul famoso bacio tra cellule. A tal proposito stiamo conducendo un nuovo lavoro con cui dimostriamo un ulteriore meccanismo che porta all’attivazione di una pronta risposta immunitaria contro i patogeni.
Ci racconti dei suoi rapporti con la città natale. Ci torna ancora?
Ho vissuto a Taranto fino ai diciotto anni. Dopo il liceo, ho compiuto i primi due anni di università a Bari. In quel periodo tornavo a casa solo per il week-end. Poi mi sono trasferita a Padova. Da allora i miei ritorni sono diventati saltuari, limitati alle vacanze e legati a motivi affettivi.
Che idea si è fatta della città durante questi ritorni?
Ho assistito a diverse oscillazioni. Ci sono stati anni bui, durante il quale la città era in uno stato di degrado assoluto. Poi c’è stato un periodo in cui sembrava risorta, molto viva. Ora sono tre anni che non scendo e non so dire quale sia la situazione.
In questi anni ha avuto dei riconoscimenti da Taranto o si è sentita trascurata?
Non è arrivato molto a dir la verità. C’è stata qualche intervista e la pubblicazione nel libro “Nati a Taranto” di un mio scritto sulla città in cui ricordavo soprattutto il mare. D’altronde si può stare bene in qualsiasi città, è possibile costruire nuove amicizie, formare una famiglia, trovare un lavoro, ma la mancanza del mare si sente sempre.
Lei ha avuto anche una passione per l’ecologia, cosa pensa della questione ambientale tarantina?
E’ scandaloso ciò che da anni succede a Taranto. Bisogna capire se l’attività inquinante dell’Ilva può essere controllata con procedure e filtri adeguati. Se questo non è possibile non ci sono alternative alla chiusura. Le leucemie che ci sono a Taranto sono terribilmente maggiori rispetto al resto d’Italia. La situazione è veramente drammatica.
Se le chiedessero di tornare qui per condurre uno studio sugli effetti delle sostanze inquinanti, lo farebbe?
Lo sappiamo già che i metalli pesanti, gli idrocarburi e altre sostanze attivano le cellule tumorali: non servono nuovi studi. Occorre semplicemente la volontà di cambiare le cose. E poi uno studio epidemiologico spontaneo c’è già: il numero di leucemie che è concentrato in quella zona dimostra che lì qualcosa non va.
Cosa si dovrebbe fare secondo lei?
Taranto dovrebbe puntare su tutt’altro e in particolare sul turismo. Io vedo altrove spiagge molto meno belle delle nostre, che però sono state attrezzate in modo tale da accogliere i turisti in una maniera eccezionale, come in Grecia ad esempio. Da noi invece non è stata fatta alcuna campagna in quella direzione. E poi serve altro: bisogna creare un tessuto culturale in grado di riassorbire tutti i tarantini che hanno voglia di tornare nella loro città.
Chiudiamo con un messaggio di speranza: quale consiglio sente di dare ai giovani tarantini che vogliono affermarsi?
Il mio è un consiglio che vale per tutti: per realizzarsi nel proprio lavoro bisogna avere una passione incondizionata. E’ quello che dico anche ai miei figli: innamoratevi di qualcosa. Se si è innamorati davvero di quello che si fa allora tutto va bene, non ci sono ostacoli talmente grandi da non poter essere superati. E poi non bisogna avere paura di rischiare, partire, viaggiare, studiare ovunque e poi eventualmente ritornare (se e quando ce ne sarà la possibilità).
Alessandra Congedo
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