Ilva, Emiliano a Taranto: “Il nostro nemico non è l’acciaio ma il carbone”
TARANTO – «Il nostro nemico è il carbone, non l’acciaio. E’ il carbone a determinare morti premature. Si tratta di un omicidio di massa. Per noi la salute delle persone deve venire prima di tutto». Lo ha detto il presidente della Regione Michele Emiliano durante la fase conclusiva del convegno “Ripensare l’industria siderurgica italiana”, promosso dal Consiglio Nazionale degli Ingegneri, in collaborazione con la Regione Puglia.
«Dopo questo incontro a Taranto, organizzeremo a Roma un convegno internazionale sulla decarbonizzazone – ha annunciato il governatore – oltre a far partecipare tutti gli esperti che sono intervenuti oggi, inviteremo anche il presidente del Consiglio e i ministri. Finora non hanno voluto incontrarci. Magari in quella occasione troveremo il modo di farci ascoltare».
Sullo sfondo appare la battaglia referendaria sulla riforma costituzionale (si vota il prossimo 4 dicembre) e il timore che le Regioni vengano messe definitivamente all’angolo in caso di affermazione del “Sì”. Uno svuotamento di poteri, a tutto vantaggio del decisore centrale, è ormai già in atto. Il tutto va inquadrato, inoltre, nel duello a distanza tra il premier Matteo Renzi e il governatore pugliese.
«Come politici locali siamo stati estromessi, neanche il sindaco può fare molto – ha dichiarato Emiliano facendo riferimento all’emergenza sanitaria e ambientale che colpisce il territorio ionico – ormai il Governo non ci riconosce più neanche il diritto di parola. Con l’ultimo decreto la Regione non può esprimere nemmeno i pareri non vincolanti”. A dare manforte alla proposta di decarbonizzazione, questa mattina, c’era anche l’ingegner Barbara Valenzano, direttore del Dipartimento Ambiente della Regione Puglia, che ha illustrato le tecnologie per sostituire gli altoforni, come quello realizzato in Louisiana con tecnologia italiana.
“Abbiamo il know how – ha detto – ma sul nostro territorio non riusciamo a realizzare gli impianti. Si potrebbero ridurre le emissioni di Ilva e le dispersioni di polveri con i forni elettrici, eliminando le cokerie e l’agglomerato, minimizzando se non annullando così diossine, furani e il benzoapirene. Con il DRI, il preridotto, si lavora a temperature sui mille gradi, recuperando l’eccesso di calore e di polveri”.
Secondo i dati forniti dalla Valenzano (che ha anche il ruolo di custode giudiziario dell’Ilva) con 5 milioni annui di produzione di acciaio si può “pensare a una spesa di 1,2 miliardi di investimento per il rinnovo degli impianti con due linee produttive da 2,5 milioni di tonnellate annue. Servirebbero 2 miliardi per il completamento degli interventi Aia. I tempi di realizzazione sono stimati in circa 18 mesi”.
L’area dell’impianto – ha aggiunto la Valenzano – “sarebbe un ottavo dell’esistente. Il preridotto poi può essere usato per esportazione e sostituire l’acciaio di prima fusione in altre acciaierie. Con la capacità produttiva autorizzata per Ilva, ci sarebbe bisogno di 3 miliardi di mc di gas annui e di 38.000 gigawatt ora/annui. Tap porterebbe in Puglia 10 miliardi di metri cubi in un primo momento, con il secondo step arriverebbe a 20 miliardi di mc. Spostando Tap a Brindisi sarebbe anche più facilmente alimentabile l’Ilva, invece di far solo passare il gas verso il nord Europa e pensare che all’attuale livello produttivo ne basterebbe solo 1,5 miliardi di metri cubi di gas. Con un terzo della produzione elettrica da fonti rinnovabili pugliesi poi si potrebbero alimentare i forni. Gli interventi palliativi previsti dall’Aia non sarebbero compatibili con i costi attuali che presentano una perdita di 50 milioni di euro al mese”.
Ha aggiunto la Valenzano: «La tecnologia poi è modulare e la produzione può essere ampliata. Con lo studio di fattibilità che presenteremo prevediamo una fase transitoria di coesistenza delle tecnologie produttive, utilizzando le aree Ilva ora dismesse, le aree portuali, bonificando le aree parchi minerari. I costi – ha concluso il direttore del Dipartimento Ambiente della Regione Puglia – sono da confrontare anche con quelli attuali di trasporto del carbone da stoccare nei parchi e soprattutto con i costi continui di bonifica con la sorgente attiva e con i costi sanitari altissimi (circa un miliardo di euro) che ci vedono tra i primi dieci in Europa. Il personale infine sarebbe formato e reimpiegato per il rifacimento degli impianti e per le bonifiche ambientali”.
Il convegno ha fornito diversi elementi di riflessione ma ha mostrato, a nostro avviso, una pecca non trascurabile: la mancanza di un contradditorio in merito alla proposta emersa. Sarebbe stato interessante, infatti, sentire anche le ragioni di chi, nel mondo della scienza, della tecnologia e dell’economia, non considera fattibile questa trasformazione nell’Ilva di Taranto. Avremmo avuto sicuramente un quadro più completo ed esaustivo su una problematica che scalda gli animi.